Da Almodóvar al mondo. Gli occhi di Antonia San Juan non mentono. In quel turchese mare caraibico c’è tutta la sua passione, la dedizione per il cinema e il teatro. C’è l’amore per la vita. C’è la pace interiore di chi ha raggiunto traguardi esistenziali importanti, di chi ha costruito un percorso foriero di successi internazionali ed è amata da tutti.
Un’antica leggenda identifica Atlantide con le isole canarie. Tu sei di Las Palmas di Gran Canaria. Ricordo un tuo racconto della tua infanzia che vorrei condividere con i lettori. Riguarda il porto di Las Palmas e l’Italia…
Quando arrivavano le navi italiane per me era una festa. Dopo che i miei genitori si separarono, mio padre ebbe un’altra compagna. Come lavoro lei lavava e stirava le divise dei marinai delle navi che arrivavano a Las Palmas. Quando avevo otto anni circa, ricordo che le navi italiane ci invitavano a mangiare lì, per me era una novità. Erano gli anni sessanta e settanta e ancora non esistevano tanti ristoranti italiani. Per la prima volta mangiavo la pasta, la pizza e la mortadella col pane caldo. Ricordo perfettamente l’emozione dell’arrivo della nave italiana, fu il mio primo contatto con l’Italia.
A proposito di arrivi: in Italia l’arrivo a Roma di un aspirante attore o regista ha rappresentato
per molti, poeticamente, il primo passo simbolico verso il cinema. Madrid per la Spagna, in questo senso, è il corrispettivo di Roma. Cos’è per te Madrid?
Anche per me Madrid ha rappresentato il mio primo approdo al teatro e al cinema. Madrid, però, non è solo questo per me. Mi ha vista crescere, è il mio amore, è la mia casa, è la mia vita, il luogo in cui voglio sempre tornare, il mio paradiso, la mia bolla. È la mia struttura portante, rappresenta le mie fondamenta.
Le differenze di approccio tra teatro e cinema, da parte di un attore, sono, spesso, oggetto di eterno dibattito. A volte si dice che un bravo attore può fare indistintamente entrambe le cose. Tu, in base alla tua esperienza, che idea hai a riguardo?
È una cosa molto soggettiva, molto mia. Per me il teatro è necessario perché ti dà una formazione
unica. È quel luogo in cui si fa un salto senza protezione, senza paracadute. Non ci si può fermare e
rifare come nel cinema. Quando un attore di teatro ha basi solide, nel momento in cui arriva al cinema, è capace di offrire un’interpretazione veritiera e reale perché può mettere a frutto ciò che il teatro gli ha dato. Il teatro è importante perché impari a giocarti il tutto per tutto in ogni replica. Nel cinema non è così. A meno che non si tratti di un personaggio molto intenso e complesso, entrano in gioco talmente tanti altri fattori che tutto risulta più accessibile. Ci sono tanti trucchi tecnici e di post produzione per trasformare un’interpretazione scarsa in un’interpretazione accettabile. Il teatro ti spoglia, ti denuda, non è indulgente. Se sei bravo, sei bravo, se non lo sei, si vede e non ci sono
trucchi. È come se ti aspettasse al varco con una pietra in mano e se non vali ti caccia. Il cinema non è così, puoi avere un bel volto cinematografico e lo sguardo fa la sua parte. Il cinema è lo sguardo, il teatro è la parola.
Questa che sto per fare è una domanda inevitabile. C’è un episodio o un momento speciale che ricordi rispetto al film Oscar “Tutto su mia madre” di Pedro Almodóvar in cui interpretavi l’iconico personaggio di Agrado?
Mi sono successe tante cose speciali in quel periodo. Il primo incontro con Marisa Paredes, che ammiravo moltissimo, è stato molto intenso per me. C’è un aneddoto, però, che ricordo con particolare emozione. La mattina prima che Pedro mi chiamasse per dirmi che il ruolo era mio, ero in un bar a prendere un caffè. Presi un tovagliolo di carta dal dispensatore sul tavolo. Nel tovagliolo c’era scritto “su deseo es nuestro agrado” (il suo desiderio è la nostra soddisfazione). La produzione del film si chiamava “El deseo” e il mio personaggio si chiamava “Agrado”. Il giorno dopo mi chiamò Pedro e mi disse: “il personaggio di Agrado è tuo”. Mi sembrò assurdo che in un tovagliolo fosse scritta una cosa così ricercata e non comune come quella. Lo interpretai come un segno. Avrebbero potuto scrivere qualsiasi altra cosa “buon appetito”, “benvenuto”. Quando presi quel tovagliolo e lessi quelle parole mi sembrò assurdo. Anche se non avevo ancora avuto un responso, la casualità mi fu subito evidente. Lo conservai e lo conservo ancora.
Cosa é successo dopo il trionfo di “Tutto su mia madre”?
Ci furono altri film importanti, però il pubblico si aspettava sempre “Agrado”. Ci fu una specie di delusione da parte del pubblico, dei media. Antonia San Juan, più sobria di Agrado, piaceva meno.
Però qualcosa poi è cambiato in positivo, il grande successo in tv, a teatro, altri film importanti…
Sì, ma l’ho cambiato io. Decisi di lasciare Agrado al suo posto, in un ottimo posto della Storia del cinema. Avevo dato tanto a quel personaggio e Agrado aveva dato tanto a me, l’internazionalità, tra le altre cose. Io le avevo dato il mio corpo, la mia voce e il mio volto e ci fu un patto tra il personaggio e me. Io le promisi amabilmente una separazione senza alcun tipo di rinnegamento, dicendole che mi aveva fagocitato e che io avevo bisogno del mio spazio. Antonia San Juan non era più Agrado.
Quando ho avuto l’occasione di dirigerti nel nostro film Istmo, mi ha colpito il tuo talento associato alla calma, all’umiltà e alla semplicità. Si dice che i grandi attori sono così, forse in parte è vero. A prescindere dalla notorietà e dalla bravura di un attore, però, ritengo che questi fattori dipendano piuttosto dal grado di soddisfazione accumulato durante la carriera, oltre che dalla natura individuale. C’è un’altra cosa in particolare che mi ha colpito di te: subito dopo una scena complessa o drammatica, la maggior parte degli attori ha bisogno del proprio tempo di ripresa (spesso è anche l’alibi di qualche delirio da prima donna), invece, in te, si spegne un interruttore e tutto torna subito alla realtà. Per me è stato sorprendente e ha facilitato tanto la lavorazione. Cosa accade subito dopo lo stop?
Che mi viene da dire al regista e alla troupe: “andiamo a bere un bicchiere di vino e a mangiarci una
pizza!”.
Fu stupefacente per me e accadeva naturalmente senza intaccare l’intensità della tua performance. In un attimo tornavi alla vita reale con estrema facilità. Come ci riesci?
C’è stato un avvenimento importante nella mia vita in relazione a questa cosa. Mia madre morì un 6
di gennaio. Dopo due giorni, il giorno 8 gennaio, ci sarebbe stata la prima del mio spettacolo “Mi
lucha” (la mia lotta). Mia madre morì con me alle 15:30, io ero con lei. Firmai tutte le carte secondo protocollo e feci tutte le procedure. Mi chiesero se fossi voluta andare all’obitorio per la veglia. Io dissi di no, ero stata un mese con lei ad assisterla. Per me la veglia era solo un rito egiziano adottato dalla cultura europea. La accompagnai all’obitorio, chiusi la porta, andai a cenare sul lungomare di Las Palmas, tornai a casa, mi feci una doccia e mi misi a letto. La mattina successiva andai alla camera ardente, offrii una colazione alla gente che arrivava e piansi nel momento della cremazione. Lì sapevo che non l’avrei più rivista. Quelli della produzione mi chiesero se fossi in condizioni di affrontare la prima del giorno dopo. Io dissi di sì. Entrai in scena e prima di cominciare dissi al pubblico che quello era un giorno complicato perché mia madre era morta. Il pubblico iniziò a ridere pensando fosse una battuta. Poi lo ribadii in un modo diverso, il pubblico rimase in silenzio e capì che era vero. Tutto questo per dirti che quando sto interpretando un personaggio, se faccio un’assassina, ci credo; se faccio un personaggio comico, ci credo; se interpreto una madre che ha perso un figlio, ci credo pur non avendo figli. Quando è finito lo spettacolo o la ripresa, io non sono più un’assassina, non ho nessun figlio morto eppure, il giorno dopo, torno sulla “scena del delitto”.
Potrebbe essere una tecnica.
Se lo fosse, non saprei come brevettarla. Mi viene naturale.
Secondo me è una delle chiavi del tuo successo questa facile entrata e facile uscita dalle emozioni.
È la vita che è così.
Quando e perché Antonia San Juan è diventata un’attrice?
Piuttosto ci sarebbe da chiedere quando Antonia San Juan non è stata attrice (ride). Non ho fatto altro da quando ero piccola, ma se non fossi stata un’attrice, avrei potuto adattarmi a fare qualsiasi altro lavoro che mi avesse reso felice e sono completamente sicura che l’avrei amato. Sognavo 8 e la vita mi ha dato 10. Amo tanto il lavoro e amo tanto la vita.
A cura di Carlo Fenizi
www.carlofenizi.com