Brie Hebe Artemide e le misure: il seggiolone nuovo era quasi pronto!
Brie, la mia pastorina tedesca affetta da megaesofago, ha compiuto un anno ad agosto. In dono, ha ottenuto la guarigione
La nostra storia con Brie nasce esattamente un anno fa, nel mondo virtuale dei social media. Esattamente il 18 ottobre 2021, per caso, mi soffermavo su un uno dei tanti post dei Rescue sulle pagine di Facebook.
Il pericolo della soppressione a meno di tre mesi di vita
C’era un musetto triste, simpatico e adorabile, come quello di ogni cuccioletto, correlato però dalla più temibile sequenza di parole: SOS! Eutanasia.
Immediatamente, mi sono soffermata a leggere più attentamente la descrizione.
“Cucciole di due mesi destinate ad essere addormentate per sempre perché affette da megaesofago“, una patologia rara che affligge per la maggiore i cuccioli, che rischiano spesso la morte.
Il megaesofago animale (ME)
In dettaglio, si definisce megaesofago (ME) una dilatazione focale o diffusa dell’esofago con conseguente dismotilità. Si può trovare in forma congenita o di insorgenza secondaria.
Si presenta più frequentemente nelle razze canine rispetto a quelle feline.
I soggetti più colpiti sono di taglia media e grande: Setter Irlandese, Alano, Pastore Tedesco, Labrador e Golden Retriever, Shar-pei, Terranova, Schnauzer nano e Fox Terrier.
I dati riferiti ai gatti affetti da ME sono prettamente limitati alla razza siamese.
In termini veterinari, il ME congenito può essere idiopatico (senza causa) o conseguenza di anomalie vascolari che portano ad un incarceramento dell’esofago e successivo ME segmentale craniale al sito di ostruzione.
varie: intossicazione da piombo e organofosforici, dermatomiosite del Collie, cimurro, timoma, torsione gastrica .
può essere idiopatico, qualora vengano escluse tutte le precedenti.
I Primi mesi di Brie e della sorellina Brema, gemelline con ME
Il cane con megaesofago, esattamente come la piccola Brie e la sorella Brema, tende a non ingerire al meglio, deglutire malamente e rischiare una contrazione, finanche una paresi dell’esofago.
Pertanto, è costretto a mangiare in posizione insolita, verticale, pasteggiando piccole dosi di cibo spesso frullato, ma mai troppo liquido, più volte al giorno. Dopo la fine del pasto, deve trascorrere almeno 30 minuti in posizione eretta, affinché il cibo giunga, assimilato, nello stomaco, senza timori di rigurgiti.
La parte più pericolosa è la tosse, che rischia di scatenare reflussi, rigurgiti e polmoniti, nei casi più gravi. Nei cuccioli, questo coincide quasi sempre con morte certa dell’animale.
Impossibile lasciare Brie ad un destino già scritto, con tragico finale
Era ovvio che non avrei permesso che una pelosetta così piccola fosse condannata senza zampina d’appello perché presentava un handicap debilitante, un’invalidità.
Io stessa, Veronica, redattrice di alcuni pezzi del nostro Vanityclass , ho alcune patologie che mi accompagnano da sempre, ma non credo che per questo, né io né tante altre persone in condizioni anche più difficili rispetto alla mia, debbano essere “scartate” dalla società.
E, credetemi, accade spesso. Il perbenismo finto la vince troppo spesso, perché dove servirebbe uno slancio di empatia, ci si ritrova in una triste caduta altrui nella pena. Che, per inciso, è ciò che a nessun malato, animale o bipede, serve. [off topic, lo so, ma quando ci vuole… ]
A quel punto, senza ragionare troppo, e senza dire niente al mio compagno, decisi di inviare la presentazione all’associazione che aveva in carico le piccole Brie e Brema.
Nello specifico, era una comunicazione onesta e sincera, con dubbi e perplessità diretta alla volontaria che si occupava delle adozioni del cuore.
Adozione del cuore, adozione consapevole
In che senso onesta e sincera?
Ho sottolineato che avrei preferito per Brie, che si trovava in un allevamento a Fondi, come la sorellina, trovasse casa nelle vicinanze, per evitarle una staffetta difficile fino a Milano.
E tutto ciò che stavo attraversando personalmente, intimamente, senza nascondere nulla.
Ma al di là di dubbi e timori, il tempo passava, le richieste erano poco idonee, il mese andava verso la scadenza e io mi rendevo sempre più conto di non poter lasciare che un esserino tanto piccolo dovesse essere condannato per un “difetto di fabbrica”.
Brie l’avevo scelta di pancia, immediatamente.
Per il suo musetto goffo e furbetto, o per la sua voglia di vivere che traspariva in un video in cui mordicchiava il dito della volontaria.
A tal riguardo, mi ricontattarono a breve. Chiesi i referti, le lastre e la documentazione da mandare al mio veterinario. Non era, la mia una scelta dettata da egoismo, bensì consapevolezza e autopreservazione.
Il timore era quello che potesse morire per polmonite ab ingestis (la conseguenza più comune e letale delle forme di mega esofago congenite) poco dopo il suo arrivo per uno stadio di severità acuto.
Nello stesso periodo, stavo attraversando uno dei momenti peggiori di sempre.
Un freddo autunno e il mio cammino nel dolore. Il valore della pet-therapy
In quei pomeriggi in cui l’autunno si faceva più vivo e il freddo via via più pungente, e la pioggia seguiva i colori mutevoli del periodo, quasi ogni giorno mi recavo all’hospice “Il Tulipano di Milano.
Lì, non mi mancava mai il saluto a e da parte di Popper , il cane residenziale, ottimo aiutante per ospiti e parenti con le sue tecniche di pet-theraphist.
Purtroppo il motivo di quei tristi momenti era diverso: andavo a trovare, seppur per pochissimi minuti, il mio migliore amico, che si stava spegnendo per una malattia che il Covid non ha aiutato a curare al meglio.
“Terminale”.
E ogni rientro si faceva più difficile: mi ritrovavo a fingere di fronte a chi meglio mi conosceva che sarebbe andato tutto bene, ripetendolo alla sua meravigliosa bambina, giocare e scherzare con loro, per poi prendere aria e letteralmente accasciarmi al di fuori del portone, con la consapevolezza che i giorni diventavano via via ore, forse minuti…
Ad attanagliarmi l’anima c’era un enorme senso di vuoto; un dolore che sentivo come se si strappasse interi pezzi di me, che si sarebbe portato via quel mio amico fraterno in poco, troppo poco tempo.
Troppo, per quel suo dolore, poco per quel che potevamo ancora condividere.
(Ecco, perché a volte è necessario pensare meno al “poverino”, ma al “cosa posso fare per aiutare?” Tutelare sarebbe già un bel modo -n.d.r-).
Pertanto, ero consapevole che non avrei emotivamente retto anche la perdita di una Brie, cucciola una volta arrivata, dopo una staffetta lunga e per lei evidentemente spaventosa e perigliosa.
Ma ciò che, dall’altra parte, mi importava, senza egoismi, era che Brie trovasse una famiglia, e non restasse innocente vittima di una morte triste e immotivata.
Brema aveva già trovato una famiglia, e vicina a Roma, per un fato a lei più propizio.
Tornando alla piccola Brie, rimasta sola in quella gabbia…
Il mio veterinario, consultandosi anche con uno specialista gastroenterologo, volle rassicurarmi dicendo che assolutamente non si trattava di un cane sul quale attuare eutanasia.
Decisione ponderata o sconsiderata? Quando il cuore decide prima della
Di conseguenza, decisi che Brie sarebbe stata parte integrante della nostra famiglia.
Una famiglia dove certamente i pelosetti non mancavano: c’erano già Afrodite Acheide, voce narrante della rubrica “Noi Animali“, pastore tedesco di 4 anni, insieme ai gemelli diversi Fred e Barney, due pastori maremmani abruzzesi di 9 anni.
Sì, nel caso ve lo chiedeste, viviamo in una piccola, ma accogliente villetta con giardino sita a Milano.
Sapevo, razionalmente, che non era il momento ottimale per un quinto cane. Ma sapevo che lei meritava di essere salvata.
Pertanto, l’associazione, dopo i controlli pre affido, mi mise in contatto con l’allevatrice che mi spiegò al meglio come farla bere (limitatamente e con cucchiaio) e mangiare.
La piccola era costretta a stare in una sorta di seggiolone di fortuna entro il quale farle tenere la posizione di busto e zampe sollevata. Quasi “in piedi”.
Lì doveva rimanere per almeno 45 minuti al caldo e a riposo per la digestione.
Un’adozione del cuore in ogni suo aspetto, che implicava uno scontro con le reticenze in famiglia.
Ne emerse più una lotta etica: il diritto alla sopravvivenza è solo dei sani?
Il principio, alla base delle discussioni, fu semplice: “anche io ho una patologia invalidante all’intestino, ma per questo devo essere condannata?! Non bastano anni di terapie continue?!”
L’arrivo di Brie
Ottenuti gli ok generali, benché titubanti, per l’adozione, non sono mancati problemi di spostamento: inizialmente Brie sarebbe dovuta arrivare in macchina, portata dai volontari dell’associazione. Naturalmente, con il mio amico in quelle condizioni drammatiche non era possibile pensare a nostri ipotetici spostamenti da Milano.
In seguito, si ideò una staffetta prevista per 4/11/’21.
Questa fu poi nuovamente spostata al 18/11, giorno del compimento dei suoi tre mesi, lo stesso che aveva come “scadenza” per la puntura pensata all’inizio come rimedio alla sofferenza.
L’11 novembre salutammo per sempre il mio amico fraterno, e la sola cosa in cui cercavo disperato rimedio al dolore era portare la piccola Brie a casa. Furono giorni di grande frustrazione, tristezza ed emozione.
Quando giunse quella sera, complice l’aiuto di una volontaria che l’aveva recuperata a Melegnano, le mie mani e quelle del mio compagno si strinsero con grande emozione.
Seguimmo l’intero iter della staffetta: Brie era partita alle 6:30, alle 20:00 avevamo pronta l’acqua per la sua prima pappa.
Benvenuta a casa!
Grazie a Patrizia, la volontaria, giunse a casa nostra alle 21:00. Sporca, spaventata, infreddolita, con una deambulazione terribile, e naturalmente affamata.
Il tempo di montare la rete di fortuna ideata dall’allevatrice dove mangiava, adagiarvi il cuscino e via, subito il primo momento nostro.
Il primo cucchiaio divorato, e così il secondo, poi via via fino alla fine del primo pasto nella sua nuova casa. Tempo di finire il boccone, e Brie si addormentò con il muso sul mio braccio.
Sapeva di essere a casa.
La cosa più commovente fu l’incontro con Afrodite. Meraviglioso, emozionante, pieno di affetto, come se fossero davvero sorelle. E l’handicap della piccola non era per Afri nessun problema. Iniziò quindi un percorso difficile, entusiasmante, emozionante.
Un percorso personale di ricerca della felicità, di guarigione, di rimedio a dolore e tristezza di quel lungo periodo.
È trascorso quasi un anno dall’arrivo della piccola Brie, composto anche da molti sforzi per tenerla in forze, pappe frullate, ore a coccolarla prima di dormire, nonché i timori costanti, sono stati utili affinché la rabbia confluisse in un’opera di cuore.
Non è da sottovalutare “il seggiolone”. Noi le abbiamo costruito il suo, del quale era evidentemente felice.
La sedia di Bailey
Se mai vi occorresse, in quanto l’editoria medicale non è ampia in merito, googlate “sedia di Bailey” Nel caso vi trovaste di fronte ad un animale affetto da ME, valutate se limitarvi ad usare un treppiedi, optare per l’acquisto oppure aguzzare l’ingegno in un ottimo momento di bricolage.
I primi mesi: a tutta pappa!
Dopo i vari (costosi) controlli con vet e gastroenterologo, che ci ha consigliato una dieta a base di carne tritata fresca, 500g al dì e polenta o riso stracotti (cosicché non sentisse la sete, essendo l’acqua da monitorare ogni momento), ai quali integrare piano piano patata e/o zucca, i suoi pianti per uscire dal suo trono e giocare come tutti i cuccioli, la scoperta più bella a 10 mesi, con l’ultima lastra: la scomparsa della patologia e la possibilità di una vita normale.
L’alternativa peggiore sarebbe stata continuare a farle consumare il cibo in posizione sollevata per due volte al giorno, con l’attesa limitata ai 15/20 minuti in base al “suono” della digestione.
La vittoria di Brie Hebe Artemide: la via della doppia guarigione
La storia di Brie, ora ribattezzata Hebe (come la coppiera di eterna giovinezza) Artemide, (come la dea della caccia e della natura per la tradizione mitologica greca) racconta di come si possa vivere e non solo convivere con un cane affetto da mega esofago, passando dall’imboccarlo piano piano, “sacrificando” tempo e denaro in modo consapevole, costruendo o acquistando strutture idonee per lui o lei, e realizzando quali difficoltà possano esserci, comprese le paure costanti.
Perché se è vero che si è trattato di un’adozione del cuore, è pur vero che ciò significa che il cuore te lo salvano.
ad ogni carezza, penso a quanto mi abbia aiutata a superare i pianti
ad ogni cucchiaiata,
ad ogni minuto speso con lei perché stesse tranquilla,
ad ogni scodinzolante timida leccata sul viso, le lacrime erano meno copiose.
Non penso, ad oggi, di aver mai fatto una scelta di pancia, timore e affetto a monte, apparentemente incosciente, tanto giusta per me come adottarla.
Anzi, volerla a tutti i costi nelle nostre vite.
Tengo a chiarire che noi siamo stati fortunati con la guarigione totale di Brie (ora Hebe Artemide), ma che si tratta pur sempre di una malattia complessa.
Può svilupparsi in maniera congenita, nei primi mesi di vita, o, in casi sporadici, come già descritto, in età adulta.
La richiesta di attenzioni costanti
La patologia richiede attenzione vigile e dedizione costante. Nulla di incustodito, in particolare se vi sono altri animali che si alimentano normalmente. Sommando questo fattore all’età caotica dei cuccioli, si può presupporre quanto l’impegno e il coinvolgimento della famiglia devono essere totali.
Occorre includere, fra le altre cose, la consapevolezza del rischio di essere soggetti a spese impreviste, lastre di controllo e diete casalinghe affiancate da crocchette di alto livello specifiche.
Talvolta si rende utile il supporto di un educatore, a seguito della probabile scarsa, nonché fondamentale, socializzazione del cucciolo nei primi mesi.
Infine, possono esserci addirittura casi di malnutrizione, o, come nel nostro caso, crescite anomale (oggi Brie Hebe Artemide pesa ben 37 kg!). E, cosa che non voglio minimamente prendere in considerazione, ma so che per molto tempo è rimasto un rischio, il timore persistente che non ce l’avrebbe fatta o che la sua vita potrebbe essere breve.
Travolti da un insolito destino di zampe e codine felici
Noi siamo stati fortunati e travolti dalla sua enorme voglia di vita e di salvezza.
In sostanza, per ora ci godiamo le sue quintalate di amore incontrollato.
Oltre le disabilità. Oltre il dolore.
Brie, cucciola affetta da megaesofago, appena giunta a casa
Questa adozione dal finale non scritto, ma dal presente sempre più felice, ha suscitato l’attenzione anche della pagina animalista KODAMI, che ci ha dedicato un bell’articolo
Il megaesofago non impedisce ai cani di vivere una vita il più possibile “normale”
Gli animali non badano alle invalidità dell’altro, anzi tendono a valorizzarne la compagnia e ad aiutarlo, stimolandone forza e senso di appartenenza al gruppo, insieme alla capacità di migliorarsi. Casi in cui l’essere più debole è messo in difficoltà non avvengono, di norma, in contesti di famiglia sani, dove i membri pelosi sono perfettamente socializzati e integrati nelle dinamiche famigliari, conoscono bene le gerarchie e sono rispettosi di esse per loro stessa natura
Non dimentichiamoci: portiamo i nostri pelosi sempre con noi, ove possibile! Accresce la loro autostima, migliora il loro umore e la relazione con l’ambiente umano esterno e rafforza il legame con la famiglia