Questa sera Drusilla Foer affiancherà Amadeus in occasione della terza serata della 72esima edizione del Festival della Canzone Italiana. Una partecipazione che ha riscosso un certo clamore e una buona dose di approvazione da gran parte degli italiani. Anzi, si parla addirittura di “evento eccezionale” poiché, come dicono in tanti, la sua sarà la prima “conduzione en travesti” di Sanremo. Non a caso, Drusilla è in realtà Gianluca “Gigo” Gori, attore fiorentino di 55 anni che ha dato vita al personaggio di una scanzonata nobildonna toscana e ne ha fatto il suo alter ego. Tuttavia, la sua presenza sul palco dell’Ariston è molto più di una novità, perché cela dietro di sé un significato fondamentale.
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Cosa significa avere Drusilla Foer al Festival di Sanremo
Svariati sono i tentativi fatti nel corso degli anni di rappresentare tematiche sociali fortemente attuali su uno dei palcoscenici più famosi della nostra penisola, nella speranza di poter sdoganare quegli infiniti tabù (sempre che tali si possano definire) che oggigiorno non dovrebbero più preoccuparci. Che poi non tutti siano riusciti nell’intento, però, questa è un’altra storia. Basti pensare al discorso contro l’omofobia di Checco Zalone che non è stato compreso appieno nemmeno dalla comunità LGBT+. Comunque, azzeccato oppure no, l’impegno non è mancato e continua tutt’ora a non mancare. Una dimostrazione ci è data dalla scelta del direttore artistico di poter collaborare con una personalità controversa come quella di Drusilla Foer. Ma perché desta così tanto stupore?
In pieno XXI secolo, ormai, un uomo che si traveste da donna non dovrebbe suscitare il men che minimo sconcerto. Ma invece, a differenza di quello che ci si potrebbe aspettare, non è per niente scontato. Tantomeno facile, soprattutto in un Paese come il nostro, dove solo pochi mesi fa il Senato ha applaudito alla bocciatura del DDL Zan (che è bene ricordare, non riguardava solamente l’omosessualità!). E forse è proprio per questo che, in una società ristagnante che si impegna a combattere (e contemporaneamente a rafforzare) le disparità e la diversità, che rimanere indietro mentre il mondo non fa altro che andare avanti, la sola arma che ci resta è quella della “normalità“. Ed è alla luce di ciò che si dovrebbe guardare alla Foer a Sanremo. Con lo spirito non di chi assiste ad un fatto straordinario del quale doversi meravigliare, ma con quello di chi ammira una consuetudine di cui ci si dovrebbe vantare.
La forza più grande di tutte: essere semplicemente se stessi
D’altronde, scherzandoci su con l’ironia che da sempre la contraddistingue, è stata lei stessa a dirlo:
“A Sanremo dovevo essere la più scandalosa, ma mi pare io sia la più normale“.
Normale perché forte abbastanza da essere semplicemente se stessa. Con il coraggio di chi crede nelle proprie convinzioni e di non ha paura di sostenerle pubblicamente. Normale perché in grado di andare oltre la scontatezza dei luoghi comuni. Capace di accettare la realtà delle cose e vederle semplicemente per quello che sono. Normale perché così in-convenzionalmente convenzionale.
A tal proposito, nel corso della conferenza stampa della kermesse ci ha tenuto a ribadire che:
“La vita è una caccia al tesoro, bisogna tendere a qualcosa di prezioso, ma la cosa importante è la caccia che si fa, la vera caccia al tesoro siamo noi stessi e comprendere se stessi è premio più grosso. Queste esperienza fa parte della voracità che ho di esperienze nella vita, della curiosità verso ciò che la vita mi mette di fronte. Sono grata di essere qui perché è un passo verso il tesoro. […] Dove trovo qualcosa che stride nel mio cuore mi espongo, e non parlo solo dei temi lgbt, ma anche della violenza sulle donne, dei diritti sul lavoro, sono la bandiera di ciò che penso e penso tante, tante cose“.
Insomma, è questo il messaggio più potente di tutti. E chissà, magari bisognerebbe smetterla di considerare le persone per quello che fanno e imparare a guardarle per quello che sono.