“Elena” di Euripide: una tragicommedia contro la violenza della guerra
“Elena” di Euripide ha salutato il Teatro Osoppo Valentina Cortese di Milano per la stagione 2022/2023 lo scorso sabato 13 maggio, fra lacrime e applausi.
A portarla e dirigerla in scena, alunni, docenti ed ex studenti dell’Università Cattolica di Milano, fondatori e prosecutori del progetto Kerkís, “Teatro Antico in Scena”.
L’opera di Euripide, rappresentata per la prima volta nel 412 a.C., è una delle rare tragi-commedie, ovvero un’opera con trama simile a quelle della Commedia Nuova, il cui autore più noto è Menandro.
La straordinarietà dell’opera è l’attualità costante dei suoi topos.
Non mancano antimilitarismo, pregiudizio, conflittualità, e –naturalmente– matrimonio, fedeltà e infedeltà.
Oltre il mito omerico: l’eroina contro la bellezza fine a se stessa
Euripide scrisse Elena traendone la storia dal mito di Omero in età avanzata, a circa settant’anni.
La senilità era per i Greci il momento in cui bellezza e armonia della figura umana stessa venivano meno; ci si poteva confrontare con l’effimera consistenza di ciò che fu di quell’aspetto più frivolo, eppur capace di scatenare una guerra, secondo tradizione.
(No, evitiamo di pensare subito alle insta-guerriglie spiaggiate fra le vicine col costumino più hot e meglio indossato a scapito di ore di pilates e krav maga.
La bellezza, quella intesa da Elena, personaggio, strumento e icona, rientra in un concetto nettamente più ampio ed eticamente complesso, inviso. Tant’è che lei, l’eroina della storia Euripide, vorrebbe rinnegare il suo aspetto. Ça va sans dire. N.d.r.)
Lo stesso pensiero lo ebbero poi altri grandissimi artisti e pensatori straordinari quali Leonardo, Michelangelo, Goethe, i Poeti Crepuscolari, D’Annunzio, e così via.
Elena è l’archetipo di bellezza, o di bellissima donna, giudicata e detestata per questo.
Tuttavia, ella non può nulla contro questa sua naturale condizione.
Nulla può nemmeno contro la volontà divina di essere contesa e tacciata come causa bellica fra i vincitori ingannevoli greci (ricordate, il celeberrimo cavallo? Odisseo/Ulisse pagò per ben 10 anni lontano -n.d.r.-)
Elena di Euripide, l’antimilitarista
Ma il celebre inventore del deus ex-machina decise di modificare la storia della moglie di Menelao, con una trama avvincente e articolata da aneddoti ilari.
Il fine dell’autore è quello di evidenziare come la lunghissima guerra contro i Troiani fu combattuta inconsapevolmente per un motivo letteralmente evanescente.
Elena di Sparta, secondo questa versione del mito, non è mai arrivata a Troia con il giovane principe Paride.
Egli, anzi, ha preso con sé un doppio dell’Atride sposa (cognata di Agamennone, che utilizzò il ratto come giustificazione per muovere guerra a Troia n.d.r.), un eidolon, una nuvola con le fattezze medesime di Elena.
Questo aspetto accentua l’assurdità bellica.
Vuoi dire che abbiamo sofferto invano per una nuvola?
Questa è la domanda del servo a Menelao.
La riflessione si basa su coloro che decidono di combatte l’orrore in nome di un obiettivo ideale che si rivela spesso illusione.
Agamennone guida i greci contro i soldati di Priamo in nome di un tradimento mai esistito, come non lo è nemmeno l’evanescente Elena.
Lo scoppio del conflitto è basato su un vuoto miraggio voluto dagli dei.
In virtù della guerra, la vera donna, quella finita lontana dalla sua terra, è malvista e ritenuta causa dell’odio e del sangue sparso fra i due popoli.
A tal riguardo, è molto rappresentativa la frase corale:
«È pazzo chi cerca la gloria a suon di lancia nelle battaglie, è un modo rozzo di porre fine ai problemi dell’umanità. Se le decisioni vengono affidate alla lotta di sangue, la violenza non abbandonerà mai le città degli uomini. Grazie ad essa alla fine hanno ottenuto solo un posto sotto la terra troiana: eppure si poteva risolvere con le parole la contesa sorta per te, Elena» (vv.1151-1160)
Gli eroi della tragedia euripidea sono, difatti implicati negli eventi drammatici della guerra, divenendo uno specchio crude!e del tempo della drammatica Guerra del Peloponneso durante la quale vive il drammaturgo.
Un personaggio “nuovo”
Nella tradizione, fu Afrodite a promettere a Paride in dono la più bella fra le donne.
Il merito del figlio di Priamo, quand’era ancora un inconsapevole pastore giovinetto, e non principe di Ilio, fu essere considerato da Zeus degno di giudicare “la più bella” fra le divinità Atena, Era, e Afrodite in quanto il più avvenente fra gli uomini.
Egli decise perciò di donare alla dea che gli prometteva l’amore la famosa mela d’oro, omaggiata dall’offesa Eris (divinità della discordia).
Da quel momento, il mito si è espresso più volte narrando del rapimento della donna -divenuta archetipo di infedeltà- e dell’estenuante guerra combattuta fra ellenici e troiani.
Euripide stesso scrisse di Elena in maniera molto critica descrivendola come lussuriosa ed adultera nelle “Troiane”.
Nella versione di Euripide, ispirata verosimilmente al meno noto poeta Stesicoro e alle trame comiche, caratterizzate dal caso e dal lieto fine, Elena, è da intendersi come “nuova”.
Aristofane ironizza per l’immagine di donna leale e affranta, nonostante gli anni trascorsi.
Trama e struttura del dramma
“Elena” è un dramma ad intreccio fondato su equivoci, che mantiene tuttavia la struttura tragica (prologo, parodo, episodi-atti/stasimi del coro, esodo), e non presta primaria attenzione all’elemento tragico in sé.
Elena, che ha trascorso tutto il tempo dal presunto rapimento del principe Paride alla corte di re Proteo, nell’isola di Faro, ivi portata da Ermes, si affligge con le schiave greche (il coro) per la sua sorte e per la nomea di adultera.
Per sua indiretta responsabilità la guerra ha mietuto vittime e sofferenze enormi.
La sua permanenza in Egitto è diventata più dura dopo la morte del buon Proteo, con l’ascesa del figlio Teoclimeno, che vorrebbe sedurla.
La fanciulla non vuole concedersi perché ancora legata al marito.
Inoltre, la sorella veggente dell’egiziaco sovrano, Teonoe, le ha predetto che avrebbe rivisto Menelao.
Le sue speranze si affievoliscono con l’arrivo del messaggero greco Teucro: racconta di una rovinosa tempesta abbattutasi sulle navi greche durante la quale anche il sovrano è morto.
La donna cerca conforto nel coro, che balla, canta straziato narrando il mito e si esibisce negli stasimi.
L’approdo di Menelao in Egitto
Dopo una serie di vicissitudini, il malcapitato esule giunge sulla costa egizia, portando con sé quella che pensava Elena, e la nasconde in una grotta con i superstiti per cercare aiuto.
Menelao incontra (divertenti) ostilità del popolo locale che “odia i greci”, ben spiegato da una serva che gli intima di rispettare Teoclimeno, il nuovo re, meno venerabile del compianto padre.
A palazzo, egli non può credere di aver realmente visto Elena; teme sia un crudele scherzo del destino, nonché una copia ben riuscita della moglie amata (e odiata, in diverse circostanze -n.d.r-).
Sarà proprio lei a convincerlo della realtà a lungo taciuta: è sempre stata ospite di Proteo e poi prigioniera delle avances del figlio.
I due sposi vogliono ricongiungersi, fra amene scaramucce tipiche di innamorati gelosi e piani per fuggire. Menelao vestirà i panni del messo miceneo e dirà che è morto defunto per mare.
Per riuscirci però devono prima convincere Eonoe a tacere sulla presenza di Menelao.
Una tragedia finita bene
Elena sfrutta l’ascendente della sua bellezza sul goffo re egizio: gli promette che lo sposerà, dopo il saluto definitivo al morto.
Riesce a convincerlo anche di come in Grecia si onorino i caduti in mare con un rito funebre su una barca, ottenendo una grande imbarcazione fenicia con equipaggio.
Elena, narra il coro, che vorrebbe ottenere la libertà come la sovrana, è decisa a darsi alla macchia.
Nell’esodo (uscita finale del coro) il tentativo sembra venir meno perché si imbarcano anche gli uomini di Menelao, fra le perplessità dell’equipaggio e di Teoclimeno.
La scusa è rendere omaggio al caduto, ma una volta salpati i greci assaltano e uccidono egizi e fenici.
Solo uno riesce a scappare e giungere con il resoconto al re, che venuto a parte del tradimento morale di Elena, spesso prona a pregare sulla tomba di Proteo, vuole uccidere Eonoe poiché complice.
La sacerdotessa viene salvata da una schiava e, con il classico meccanismo del deus ex-machina, in assenza di apparenti soluzioni, giungono i Dioscuri a placare le ire del regnante.
Filodrammatici universitari: i ragazzi del Kerkís
“Elena” è stato un adattamento molto ben riuscito, perfettamente recitato da parte di studenti ed ex universitari che compongono il gruppo, insieme ad alcuni dei loro docenti.
La scenografia dello spettacolo è essenziale (tipico elemento classico) e funzionale.
Le ragazze che interpretano Elena e le schiave greche rievocano i personaggi ballando e intonando canti nello stile della tragedia arcaica; i restanti attori si esibiscono con grande entusiasmo, che traspare nel loro sorriso finale.
La cooperazione fra tutti loro regala allo spettatore una visione ben coesa, che permette di sorridere e riflettere sulle tematiche della narrazione.
Come in ogni compagnia teatrale ben collaudata, i componenti ben rispondono alla regia e non mancano di regalare emozioni a chi assiste ai loro spettacoli.
“Elena” è diretto dalla Professoressa Elisa Matelli e dall’attore Christian Poggioni.
L’allestimento è curato da Eri Çakalli, di origine greca e turca.
Canti, musiche e pianoforte di accompagnamento sono eseguite da professionisti, tenore e soprano.
Ciò che sorprende del loro lavoro, che prevede corsi, studio teorico, esegesi, analisi del testo per la resa scenica e un approccio al perfezionamento dell’attore, è la loro voglia di esibirsi per portare in scena drammi lontani nel tempo in chiave contemporanea.
Il cartellone è ampio e comprende anche titoli non comuni come “Le vecchie e il mare” di Ghiannis Ritsos.
Il risultato è un rinnovamento del gioco teatrale, e una ricerca di spazi anche non teatrali.
Teatro strumento di ri-unione
Dopo quella sera sul palco dell’Osoppo, “Elena” sarebbe tornato anche al Carcere di Opera (MI), e il misto di eccitamento, trepidazione e un velo di apprensione commossa traspariva dal modo in cui me ne hanno parlato in forma privata.
Esattamente come nell’antichità e nel suo momento di catarsi, al pubblico composto dai detenuti del carcere è concessa un’evasione positiva e propositiva.
A Opera, casa circondariale di massima sicurezza, è attiva la compagnia teatrale “Opera Liquida“, che si occupa di riflessione, inclusione sociale e promozione della legalità attraverso la messa in scena di testi noti o inediti degli ospiti.
In Italia sono molte le compagnie che promuovono l’attività drammatica come strumento sociale.
Quel sabato sera, in mezzo a giovani alunni della mia stessa Docente (con mia grande sorpresa!), mi sono chiesta quanto le generazioni in mutamento e movimento possano offrire.
Personalmente, è stato un momento molto fortunato.
Un ideale sollievo per Elena, un lieto spiraglio di speranza per la stagione a venire del teatro fortemente voluto da Antonio Zanoletti.
Ma anche uno scambio di idee e pensieri che ho avuto il piacere di vivere anche con il parroco della chiesa San Protaso, Licia Guastelluccia e Gabriella Carrozza, che hanno rilanciato la stagione del Teatro Osoppo, mutata per cause di forza maggiore.
Gli stessi pensieri che ho piacevolmente condiviso anche grazie all’invito del Presidente del Gruppo Attività Teatrali amatoriali Lombardia (GATaL), Michele Faracci.
A cura di Veronica Fino