“Buongiorno Avvocato. Attualmente lavoro come impiegata presso una nota azienda italiana. Il mese scorso sono stata avvicinata da un collega che, dopo un primo approccio, mi ha fatto credere di ricoprire un ruolo dirigenziale in azienda e di aver peso all’interno della stessa per potermi garantire una promozione in tempi rapidi. Le confido che ho frequentato il presunto dirigente e di aver interrotto la relazione dopo essere venuta a conoscenza della falsità di quanto dichiarato. Insomma, non faceva altro che fingere. Vorrei sapere se questa vicenda sia suscettibile di tutela legale”.
Cosa dice la legge in materia di “fingere per conquistare?
Cara lettrice, immaginiamo solo per un attimo la situazione. Una persona, dipendente di una grande azienda, faccia credere a una giovane e bella ragazza, assunta da poco, di essere ad esempio a capo del personale e di poter decidere di una sua eventuale promozione. Lei, attratta più dalla possibilità di far carriera che dalle qualità dell’uomo, accetta un suo invito a cena. Durante l’incontro, l’uomo inizia a ipotizzare per la donna una futura e gloriosa ascesa in società, vantandosi di influenze sui vertici che, invece, non ha affatto. Lei gli cede e i due vanno a letto. Il giorno successivo, la ragazza viene a sapere che l’uomo riveste invece un ruolo completamente diverso da quello millantato. Della serie, non ha alcun potere in merito a sue eventuali promozioni. Per quanto consapevole di aver acconsentito alle avances solo per ottenere una raccomandazione, decide di denunciarlo per le bugie dette.
Come avrò modo di illustrarle, millantare conoscenze per garantire rapide promozioni di carriera in cambio di prestazioni sessuali può costare davvero caro al dichiarante.
Ad ogni modo, il caso da lei prospettato configura ben due ipotesi di reato. In primis, la sostituzione di persona, fattispecie di reato punita dall’art. 494 c.p. In secondo luogo, quella di violenza sessuale 609 bis c.p. Tuttavia, allorquando la sostituzione di persona sia stata posta in essere al fine di conseguire rapporti sessuali con la vittima del reato, si verifica la fattispecie di violenza sessuale per induzione in errore.
Per farla breve: spacciarsi per il capo di una società o di ricoprire nella stessa un ruolo diverso rispetto a quello concretamente ricoperto, quando invece si è un dipendente è reato.
Il caso esemplare
A dirlo è la sentenza n. 55481 del 13 dicembre del 2017 della Cassazione; il caso di specie era differente. Ciò nonostante, la Corte ritiene che sia pacificamente applicabile al caso oggetto di esame.
È curioso notare, infatti, come la Corte abbia affermato che il reato di induzione a compiere o subire atti sessuali con l’inganno, per essersi il reo sostituito ad altra persona è integrato anche dalla falsa attribuzione di una qualifica professionale, rientrando quest’ultima nella nozione di sostituzione di persona di cui all’articolo 609 bis comma 2 n. 2.
Quanto alla condotta induttiva, va rammentato che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’ipotesi di violenza sessuale per induzione contemplata dall’articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 2 (che punisce chi induce taluno a compiere o a subire atti sessuali “traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”) è integrata, non solo dallo scambio fisico fra persone, ma anche dall’ipotesi in cui l’agente si sia attribuito un falso stato o false qualità, interpretandosi il concetto di sostituzione di persona conformemente alla nozione fornita dall’articolo 494 c.p.
“Sostituzione della propria all’altrui persona ovvero attribuzione a sé o ad altri di un falso nome o di un falso stato ovvero di una falsa qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
La ragione di tale apparente severità trova giustificazione plausibile nel fatto che il consenso all’atto sessuale non deve coprire solo l’atto in sé, ma anche l’identità della persona con cui lo si consuma.
In conclusione, la risposta alla sua domanda è sì. Potrà quindi, più che legittimamente, portare la vicenda all’attenzione della Procura della Repubblica affinché svolga gli accertamenti ritenuti opportuni.