La maestra simbolo dello scoppio della guerra in Ucraina, fra sangue e macerie, e una nonna nata poco dopo la pandemia spagnola e attraversato quasi un secolo di storia. Due sopravvissute in conflitti lontani nel tempo a confronto. Sguardi intensi, nei quali si cela il dolore: nei profondi occhi azzurri di entrambe
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“La guerra è quella cosa che ti resta impressa fra rughe, cuore e occhi buoni”

Viaggio fra definizioni, manifestazioni per la pace e gli occhi che hanno cambiato il (mio) mondo. Il volto della maestra Olena a confronto col ricordo di Chiara, maestra di vita. 100 anni dopo: un dolore che si ripete

“Cos’è la guerra?”: Analisi anomala di una questione spinosa

 In questi giorni sempre più terribili, la guerra in Occidente è realtà.

Il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin ha invaso militarmente, con la motivazione data di proteggere il territorio del Donbass, l’Ucraina

Da quel momento sono incessanti scontri e aumento di vittime, palazzi  e mezzi abbattuti.

I treni sono stracolmi come i bus per uscire dal Paese.

Le code infinite dai pochi benzinai ancora aperti.

Le chiamate alle armi. 

Le lunghe corse ai bancomat, iniziate anche in Russia, dove già la popolazione ordinaria vive al limite della povertà.

Fra i primi scricchiolii iniziali di Ministri degli Esteri con un carisma forse non sufficiente per calmare una questione iniziata e, pare, prevista già nel tempo, si rinvigorisce la fiducia che con le punizioni alla Russia si possa ottenere una soluzione di cessazione della violenza. 

Russia e Ucraina: un mondo che si sgretola davanti ai nostri schermi

Il conflitto che vede l’Ucraina di Volodymyr Zelensky opporsi alla corazzata di Vladimir Putin sta segnando profondamente la nostra idea di Europa.
O, per meglio dire, dell’associazione dei termini Europa e guerra.

Nondimeno, è di ieri sera fa la dichiarazione shock di Joe Biden.

Un invito esplicito e poco rassicurante agli Stati –NATO e non solo- ad applicare le pesantissime sanzioni alla Russia, oppure la guerra.

Che si teme possa risultare brutale, nonché totale

Il crescente schieramento di forze a difesa dell’estromissione dallo SWIFT in fase di ultima decisione sono in un fragile e delicatissimo equilibrio.

Putin, dalla sua, non si mostra incline al dialogo con il premier ucraino; accusa la NATO, intimandole di non intervenire. Come ultim’ora, appare in video con i suoi generali, sostenendo che il fronte opposto stia ponendo le basi per una difesa russa, anche di tipo nucleare.

L’uomo non pare turbato neanche dalla rivendicazione dell’attacco hacker di Anonymous al Ministero della Difesa del Cremlino. 

Dall’incubo pandemico alla Terza Guerra Mondiale? 

Chiunque di noi, anche il più fermo d’animo, si sente in qualche modo coinvolto.

Spaventato, turbato, quasi appesantito da un malessere dettato dall’incertezza galoppante, come le notizie (più o meno fake) che si rincorrono.

EPPURE, dal 21 febbraio 2020 la nostra esistenza è già cambiata enormemente.

Sulla base, grottesco a dirsi, dell’incertezza.

Ma anche della speranza, delle aspettative, più o meno disilluse, delle contraddizioni e delle evoluzioni (di malattia, migliorie e conseguenze da Covid-19, di numeri e di pensieri, soprattutto).

EPPURE, dopo due anni di pandemia, nemmeno l’immaginazione più fervida, la cosiddetta complottista, sarebbe arrivata alle immagini di tale preludio apocalittico alle quali assistiamo.

Sconcertati.

Impietriti.

Impotenti

Nemmeno la filmografia cospiratoria dei filoni thriller, bellici e apocalittici (salvo fantascienza e sci-fi) avrebbe uno script in grado di spiegare una situazione lontanamente similare. 

Il fallimento della diplomazia?

Un torto, questo conflitto, che fa sfumare quanto di buono (nonostante alcune spigolature) è stato costruito in ben trenta, lunghissimi anni. Di fatto, si condanna il governo russo per l’invasione militare aggressiva in territorio ucraino, contraddistinta da missili, attacchi aerei e marcia dei tank, a spese dei tanti civili.

Lo schema piramidale della potenza è nelle mani di pochi. Ma teoricamente, quando dal basso si inizia a farla crollare, togliendone pietra su pietra, con grandi e altrettanti rischi, anche chi sta in alto potrebbe essere destinato a sprofondare.

No alla guerra: manifestanti e canti per la pace 

In queste ore in cui il mondo, fra le mosse di dissennati, milizie, macerie, coprifuoco, povertà, fughe, lotte e profughi verso i confini, l’intera popolazione cerca come può di trarre spunti dalla storia.

Si moltiplicano le manifestazioni nelle principali piazze delle città del globo: Parigi, Berlino, Vienna, Sydney, Ginevra, Buenos Aires. Non mancano, numerosissime, le città italiane: da Cagliari a Brindisi. Spiccano, in barba agli assembramenti e al rispetto del fattore virale, Milano e Roma.

Si fa sentire la propria voce, confidando possa smuovere i potenti a deporre le armi e sedersi nuovamente a tavolino.

C’era una volta un ragazzo con la chitarra: il Gianni nazionale apre tutte le piazze

In piazza Maggiore a Bologna, durante una fiaccolata per la pace, la folla si è trovata una gradita sorpresa: Gianni Morandi con la sua chitarra in mano.

L’eterno ragazzo, visibilmente provato, si è esibito cantando “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”.

Non ha, non riesce ad avere l’espressione dell’Allegria, né quella del suo nuovo, energico brano “Apri tutte le porte” che ha conquistato il terzo posto a Sanremo, dove ha duettato con l’eclettico autore, Jovanotti.

La sua stessa emozione diventa collettiva. Le gole si stringono con nodi invisibili, sulle note di una canzone scritta ai tempi del Vietnam.

Strofe intense, che malauguratamente si rivelano quantomai attuali.

La presa di distanza dei grandi eventi in programma: da musica a sport

L’Eurovision estromette i cantanti russi.

A Milano è in bilico lo spettacolo del maestro russo Valery Gergiev : simpatizzante di Putin,  è stato caldamente invitato dal Sindaco Sala a “delucidare la contrarietà all’oppressione.”

Anche nello sport le ripercussioni non si fanno attendere: fuga di sponsor e spostamento della finale di Champions League a Parigi e non più a San Pietroburgo. Il premier britannico Boris Johnson bandisce, di fatto, alcuni magnati russi. Fra questi, anche Abramovich, proprietario del Chelsea Football Club, che è stato costretto a dimettersi.

Anche il campionato mondiale di scacchi esclude i concorrenti russi.

Tantissimi campioni dello sport come i tennisti Andreyi Rublev, Medvedev, il calciatore Cristiano Ronaldo, gli ex Pavel Nedved e l’ucraino Andrij Shevchenko, l’intero settore della Formula1 e gli sponsor dei maggiori eventi sportivi si schierano per la pace in Ucraina, quale ultimo stendardo per la difesa della nostra contemporaneità. 

Le star, come noi: vogliamo solo pace!

Hollywood e le sue star non fanno attendere parole durissime in riferimento alla situazione vorticosa. Sean Penn è volato a Kiev ed è riuscito a incontrare Zelensky per girare un docu-film. 

Angelina Jolie è Ambasciatrice dell’Alto Commissariato dell’Onu. Mila Kunis, di origine ucraina, resta in un rumoroso silenzio. Barbra Streisand se la prende con la propaganda del leader russo. Chris Evans posta informazioni per aiutare il popolo ucraino. 

Così fa anche Emis Killa, mentre Ornella Vanoni ricorda la sua infanzia fra le bombe.

Già, perché anche in Italia le parole di disapprovazione contro una guerra sono taglienti. 

Laura Pausini, ad esempio, si esprime con termini fermi e condivisibili:

Mi chiedo se qualcuno invece che studiare storia a scuola fosse a casa a giocare a Risiko. Ma la vita non è un gioco e non possiamo più tollerare questo mondo che non insegna altro che odio. Cosa spiegheremo a tutti i bambini quando tornano da scuola e vedono queste immagini?

Già, cosa spiegheremo ai bambini?

I personaggi famosi di tutto il globo si schierano contro un abominio geopolitico, ovvero la scelta di non insistere con la diplomazia.

La Regina Elisabetta sposta gli incontri diplomatici, Harry e Meghan prendono posizione

La Regina Elisabetta, affetta da una leggera sintomatologia dovuta al Covid, rinvia gli appuntamenti ufficiali, anche diplomatici, in attesa di capire gli eventi, supponiamo. 

Dagli USA, invece, i Sussex scrivono apertamente sul loro canale:

Il principe Harry e Meghan, il duca e la duchessa del Sussex e tutti noi di Archewell siamo al fianco del popolo ucraino contro questa violazione del diritto internazionale e umanitario e incoraggiamo la comunità globale e i suoi leader a fare lo stesso.

“La Russia non è Putin”

Sono altrettante le storie di arresti di manifestanti per la pace in Russia. Fino all’altroieri erano circa 2700 le persone incarcerate per aver contravvenuto alla regola di non mostrare contrarietà alla guerra mossa in Ucraina. Ieri anche i vip russi si sono fermamente opposti. Impavidi contro il rischio, poi concretizzatosi, dell’incarcerazione. Sempre ieri, altri 1400 portati via dalle forze armate come dissidenti.

Si tratta di uomini e donne comuni, che si rivelano più forti delle imposizioni che reputano ingiuste: i divieti a manifestare, a esprimersi, gli account social bannati, come quello della la popstar Valery Meladze.

Fa riflettere il #nowar di Lisa Peskova, figlia del portavoce del Cremlino, incarcerata due giorni fa. Allo stesso modo, fa ben auspicare per una maggiore consapevolezza oltre il controllo dell’informazione, la contrarietà pubblicamente condivisa da Tatiana Yumasheva, figlia del predecessore di Putin, Boris Eltsin

Perché, la guerra, la pensano per i ricchi, ma i combattimenti, quelli li ordinano per i poveri che li subiscono.

La sopravvivenza negli occhi dei civili, o ciò che resta della civiltà

La drammatica storia del giovane ingegnere arruolatosi come soldato volontario, Vitaliy che si è fatto esplodere per bloccare l’avanzata su un ponte delle milizie nemiche è un viscerale contrasto fra ammirazione e delusione. Del genere umano, capace di dimenticare troppo, e troppo in fretta quanto è accaduto in passato. 

E la sopravvivenza di chi resta, di chi documenta, si imprime, lacerante e commuovente. 

La sopravvivenza è quella cercata dai soldati ucraini rifugiati che replicano alla nave nemica di andare a farsi f… , della coppia ucraina arruolata volontariamente, Yaryna e Sviatoslav, i giovanissimi sposi a poche ore del bombardamento.

“Fino alla fine, combatteremo insieme”. Come fanno i fratelli Klitschko, ex pugili. 

“Tank-man” o il Rivoltoso sconosciuto del nuovo secolo

Si aggiunge anche “Tank-man”, l’uomo disarmato che si è messo davanti ai mezzi militari di assalto opposti.

Impossibile non pensare allo studente di piazza Tienanmen nel 1989 contro l’allora Regime Comunista in Cina. Ad oggi, è noto come il Rivoltoso Sconosciuto.

Si aggiunge l’altra impavida donna che davanti al soldato russo, gli offre semi di girasole. «Prendi questi semi di girasole, tienili in tasca, così i fiori cresceranno quando morirai».

Dai rifugi nelle metropolitane e parcheggi sbucano volontari ucraini per preservare la libertà del Paese.

Il rumore delle lacrime: compostezza e dignità universali

Dovunque, gli occhi si fanno lucidi. Dai lunghi addi al confine, a quelli di chi si vede privare di tutto, e di chi ha parenti lontani. Oggi, un mio amico cameraman, premuroso papà di un bambino che vive a Varsavia, ha deciso di provare a spingersi a soli trecento km, oltrepassando il confine ucraino. Non posso fare a meno che pensarci, e, scrivendo, qualche lacrima scende sui tasti. 

È, questa, la sequenza che si ripete in un Paese dove manca ormai quasi tutto, stremato da fame, freddo e scarsità di ripari, ma non il coraggio.

Dei soldati, e dei civili che si preparano con bombe molotov autoprodotte, pur di resistere.

Di chi si inginocchia per fermare i soldati, senza armi, in nome del buonsenso.

Novelli guerrieri spartani, verrebbe da pensare. 

Cosa significa sopravvivere in una situazione bellica?

Come se non bastassero questi esempi, ci sono neonati dell’ospedale pediatrico, che si aggrappano disperatamente alla vita, benché adagiati nello scantinato della struttura. Loro ce lo dimostrano.

Anzi, ce lo insegnano.

I bambini che si riuniscono in una piccola chiesa e pregano, insieme.

Fieri di mostrarlo. Per loro, per i loro cari; le loro lacrime ci ricordano che meritano di più, da tutti noi.

Un futuro libero di essere scoperto e vissuto in nome di qualcosa che non sia segnato da un cm oltrepassato per semplice errore dettato dalla bellezza dell’infanzia.

La guerra, questo lo toglie. Come toglie loro il cibo, le famiglie, il loro stesso diritto alla vita per cui tanti l’hanno persa.

Come una catapulta temporale che racchiude in pochi giorni più di 100 anni.  

La triste litania dei carri armati: il multiverso dell‘orrore

Il silenzio delle bare di Bergamo

In questo multiverso dell‘orrore (qualcuno ci dica domani che questi due anni sono solo strascichi del peggiore dei brutti sogni!
O che interverranno gli Avengers con Doctor Strange e il trio di Spider-Man🕷 Tom Holland/Tobey Maguire/Andrew Garfield si metterà a ricreare un famoso meme.

Ah, no, anche questo è già accaduto! -N.d.r-) sembra passata un’eternità da quando la lunga fila di carri armati che attraversava le strade di Bergamo per trasportare lontano le salme dei pazienti morti di e per Covid-19

Un cordoglio partecipato e ricondiviso in tutto il mondo, che rendeva tristemente famosa quella notte, immortalata come un frame  dei libri di storia (virtuali o fisici) del futuro.

Insieme a quelle del Presidente Mattarella, solo davanti all’Altare della Patria, e a quella della grande solitudine del Papa in preghiera, sotto alla pioggia battente.

Ma da quel triste marzo del 2020 il volto, segnato da lacrime e mascherine degli abitanti terrestri, tutti, è cambiato.

Noi siamo cambiati. 

Abbondano screzi e dissapori, ma siamo decisamente più esausti.

Anche solo all’idea di qualcuno che sopraggiunga per ordinarci di nuovo di vivere nel terrore ci fa rabbrividire e opporre.  

E le lunghe file di carri che portano morte sono inaccettabili. 

Mattarella e Papa Francesco due anni dopo: fra preghiera, esecrazione e ricerca di cooperazione per una risoluzione diplomatica

Sembra ancora impossibile pensare che solo pochi giorni fa si parlava di opposizione al green pass, dittature sanitarie, eliminazione del diritto.

 Ed è passato così poco dal discorso di Sergio Mattarella, rieletto per il secondo mandato come Presidente della Repubblica.

Lui, che sperava di tornare a fare il nonno. 

Trovo tragico, allucinante, che oggi, nel DUEMILAVENTIDUE, si parli di convocazione straordinaria del Consiglio Supremo di Difesa del Capo dello Stato.

O, almeno, ciò vale per l’Italia.

Proprio come funzionava durante i giorni tristemente famosi prima di decidere se astenersi o intervenire. 

Mentre il Pontefice cerca nuovamente di ricostruire quei ponti che vengono demoliti dalle armi per non far cadere le città ucraine e donare umana speme, le grida diventano suppliche.

Sono queste anche le ore in cui le preghiere, laiche o religiose, si uniscono come i timori e i valori di repulsione della guerra da parte di civili.

Russi compresi, come già sottolineato.

Intanto, l’Italia chiude lo spazio aereo a Mosca. 

L’obiettivo resta comunque la tutela dei territori e riprovare con una diplomazia decisiva, risolutiva. 

Gesti che valgono più di parole, colori e bandiere

Dall’enorme nazione che sfida il mondo sono vitali (e virali) gli struggenti i video del ragazzo che, fra le lacrime, si scusa con un cartello ben leggibile per ciò che fanno i poteri forti.

Un tiktoker si spinge anche oltre: esibisce un cartello con disegnate bandiere dei due Stati. Nella scritta, chiede un abbraccio da parte di chi è contro la guerra. 

Un anziano gli si avvicina e, emozionato, chiede cosa debba fare per esprimere questa contrarietà. Poi mostra la mano con le dita amputate.

Lui, “la guerra l’ha fatta”. Di lì, l’abbraccio e il pianto commosso.

Un altro signore ucraino, disarmato, affronta i soldati nella loro lingua.

Non è un russofilo, è di nazionalità russa, e vive in Ucraina. Con grande fervore e dignità, li  rimprovera pesantemente per essere pronti a uccidere i loro stessi fratelli. 

La rapidità degli eventi 

Nelle ore intercorse fra inizio e fine di questo lunghissimo pezzo, aumentano le prese di posizione dei civili, che con enorme temerarietà tentano di fermare mezzi blindati, riuscendoci. 

Molti altri, dai rifugi, seguendo la richiesta del loro Presidente, prendono le armi in mano e cercano di resistere contro l’aggressore. Ci sono persone dai 18 anni, uomini e donne, comprese quelle meno giovani. 

Scuotono i video dei soldati russi che restano basiti dalla forte resistenza nemica.

Un giovane in divisa guerresca biancoblurossa piange di fronte ai civili ucraini che lo insultano. Seduto, con le mani a coprire il volto. È consapevole di non essere benvoluto nelle terre che il suo Governo reclama.

Sa che in parte chi combatte teme di non avere scelta.

Sa, in cuor suo, che non ha senso procedere. 

L’eredità dell’ira di Achille nei soldati di oggi: combattere contro coloro che “di nulla mi sono colpevoli”:

Riecheggia nella mente la sequenza dell’Iliade e dell’ira di Achille contro l’avido Menelao, che mai scende in guerra:

Ah, rivestito d’impudenza, esoso nell’anima, come può volentieri un Acheo obbedire ai tuoi comandi,
per mettersi in marcia o affrontare con forza i nemici?
Io non sono venuto per i Troiani armati di lancia
a combattere qui, ché di nulla mi sono colpevoli:
non m’hanno certo rubato le vacche e nemmeno i cavalli, né mai sono stati a Ftia, fertile popolosa, a devastare i campi, perché tra qui e lì ci sono troppi monti ombrosi e mare fragoroso; ma te, sfrontatissimo, abbiamo seguito, per i tuoi comodi, a mietere gloria per Menelao e per te,faccia di canea danno dei Troiani; del che non ti curi né ti preoccupi […] Mai ho un premio pari a te, quando gli Achei distruggono una città ben popolata dei Troiani; ma la maggior parte della guerra faticosa la fanno le mani mie;

[…] Ma ora me ne torno a Ftia, perché è certo assai meglio tornarmene a casa sulle navi ricurve, né ho intenzione
di restar qui disonorato, a procacciarti benessere e ricchezza.

(Iliade, Omero)

Il formidabile re dei Mirmidoni, nonché più valoroso dei guerrieri greci e dei racconti omerici racchiude un pensiero che trascende il tempo.

Ossia, che il sangue sia linfa mortale in scontri dove i soldati sono utilizzati come strumenti. E le loro vite appaiono meno importanti delle armi che impugnano.

Un live incostante ed incessante

Fra questi minuti concitati, streaming in diretta terribilmente angoscianti, un ex uomo di teatro, il leader dell’Ucraina, Zelensky, si trasforma in eroe del popolo, chiede aiuto, supporto, combatte e twitta per ricordarlo. La NATO inasprisce le pene per la Russia. Il popolo di Putin non sembra più il suo popolo: anche se Facebook e verosimilmente anche Instagram sono vietati, la rete, telegram, l’eco stesso dell’attenzione di tutti, viaggiano più veloci di lui. Sono virali. E, nuovamente, vitali. 

Fra smentite e inneggi al popolo per resistere ancora, alcuni lati meno noti e apparentemente oscuri del suo passato, l’ucraino ottiene consensi, aiuti e nuovi volontari.

L’ex attore che non abbandona la sua terra, che cerca disperatamente di combattere anche per l’Europa, non riesce nemmeno ad accettare la definizione di nazista. Lui, che è ebreo. 

Impossibile non trovare questa denuncia un ossimoro carico d’onta dell’accusatore. 

Lo spirito del sacrificio

Emblematiche ed eroiche, sono le immagini di coloro che combattono, consapevoli di rischiare sempre di più.

Pronti a dare la vita per il proprio Paese, cercando di impedire al nemico di sfondare, al punto di sacrificare tutto, presente e futuro. 

E se si possono celare piccoli dubbi sulla corretta risposta difensiva e del protrarsi del fuoco, che mettono a rischio gli equilibri globali, è altresì vero che le parole di sostegno al popolo, tuttavia, giungano da miriadi di persone dal mondo, riunite nelle strade. 

Unite, ciononostante, attraverso il solo canale che noi, piccoli e semplici, non strateghi, pensiamo possibile: quello che ripudia la guerra.

Le reazioni inattese: la condanna all’abominio del conflitto e la ricerca della moderazione di Turchia, Cina e Talebani

Surreale, ma vero, anche l’esortazione al Presidente russo da parte dei talebani di procedere per trattative e non con le armi. Un’apparente neutralità, la loro, “dettata dalla preoccupazione per le fonti energetiche”, ma che “va in parallelo con la preoccupazione per i civili.”

Anche la Turchia condanna la “Guerra di Putin“, valutando la chiusura d’accesso a Bosforo e Dardanelli per impedire il passaggio russo, pur mantenendo neutralità grazie agli accordi di Montreux. Erdogan invita i ministri per incontrarsi nel suo Paese, per trovare altra strada alla diplomazia. E se i comandanti tardano, il popolo scende nelle piazze contro la guerra.

Anche il Presidente della Cina Jinping spiega che la guerra non è la soluzione.

Sopratutto non lo sono conflitti nucleari né biochimici.

In molte province, le persone muoiono tuttora, non più conteggiate, in province già povere, non raggiunte da cure rapide e vaccini.

Ma cos’è la guerra, dunque?

Per tornare al topic iniziale, cos’è allora questa “guerra”?

Si tratta di una domanda “banale”. 

Basterebbe andare su un qualsiasi dizionario o enciclopedia per capirlo (magari di quelle che profumano ancora di carta impregnatasi del trascorrere del tempo, e delle volte in cui le mani l’hanno sfiorata, letta, riempita di segnalibri e vecchi fiorellini da farvi seccare, come un dono prezioso da donare. -n.d.r.-).

La definizione di Treccani

guèrra s. f. [dal germ. werra]. – 1. Conflitto aperto e dichiarato fra due o più stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., nella sua forma estrema e cruenta, quando cioè si sia fatto ricorso alle armi.

Nel diritto internazionale è definita come una situazione giuridica in cui ciascuno degli stati belligeranti può, nei limiti fissati dal diritto internazionale, esercitare la violenza contro il territorio, le persone e i beni dell’altro stato, e pretendere inoltre che gli stati rimasti fuori del conflitto, cioè neutrali, assumano un comportamento imparziale.

La guerra è peraltro ripudiata dall’art. 2, par. 3 e 4, della Carta delle Nazioni Unite e, in Italia, dall’art. 11 della Costituzione come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali o come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.

È ammessa solo come difesa nei confronti di aggressioni esterne;

Dichiarazione di g.: atto con cui una potenza comunica a un’altra la sua volontà che si instauri tra esse lo stato di g., cioè che i rapporti reciproci siano regolati non più dal diritto internazionale di pace, ma da quello di guerra.

(con altro senso, stato di g., espressione equivalente a stato di pericolo pubblico, a quello cioè che fino al 1931 era chiamato stato d’assedio).

Tante le accezioni: guerra economica, guerra cibernetica. 

Forse la Terza World War l‘abbiamo vissuta contro quel nemico invisibile che tantissime volte s’insidiava nelle nostre stesse case.

Quel virus che ci ha divisi e uniti, pizzaioli e cantori sui balconi prima, smartworkers e studenti in DAD, poi.

 #distantimauniti , si diceva.

Chiediamoci anche se non si tratta altrimenti di Seconda Guerra Fredda, o Guerra Fredda 20.22, per delinearne il tempismo.

Potremmo domandarci se potremmo chiamarla Terza World War Z, chissà mai che spunti fuori un sayan con l’onda sferica di noi tutti per combattere i veri cattivi: interessi economici, egemonismi, megalomanie -n.d.r.-)

Una banalità complessa

I verbi che si usano per circoscriverne il campo, non a caso, sono tutti di azione. Il tono è violento, impositivo: dichiarare, intimare, bandire, provocare, cominciare, intraprendere, muovere, portare, fare. 

Immediatamente, quella banalità diventa più complessa da identificare.

Implica un viaggio a ritroso nel ricordo, nel lato immondo di ciò che è stato fatto prima di noi, e che pare ripetersi ciclicamente.

Coinvolgere l’essenza umana che sfocia nel suo fallimentare snaturarsi.

Dove le parole di indifferenza prevalgono se sono più lontane e si sostituiscono con più odio quando ci fanno paura, più vicine.  

Ma chiediamoci dove inizia il sentiero per giungere a tale orrore. 

Per inciso, io condanno aspramente la guerra, ma non posso non trovare riprovevole la brutalità né lo stoicismo. Quante famiglie coinvolte da ambedue le parti e non solo, ma nel globo stanno soffrendo? Quanto dolore ancora porterà? 

Innumerevoli sono le citazioni sul termine tanto difficile da ascrivere.

Una delle mie preferite, per far comprendere la posizione personale, è quella di Gianni Rodari:

“Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.”

Potrei continuare a citare infinite frasi aggiuntive, prese dalla rete e dai volumi personali, ma preferisco utilizzare queste righe per riportare una mia riflessione ulteriore sul tema.

Sul cosa la belligeranza sia realmente, sulle modalità del come affrontarla, rimodulare i pensieri.

Com’è che si sono -un po’- vagamente adottati, negli anni, due pesi e due misure con conflitti lontani dalle nostre visuali?

(Sapete, di quelli per le quali ci si documenta -un po’- si cerca di aiutare con qualche donazione, ma poi si torna ai problemi quotidiani, sul come sopravvivere in delirio post lockdown, all’outfit da MFW da adottare, alle bollette da pagare. -n.d-r)

La nuova resilienza: la forza del farsi ascoltare, di mostrare dissenso sui muri reali e virtuali 

Fermandosi di nuovo, riguardando le tantissime bandiere e le luci che illuminano i monumenti, le case, ci accorgiamo che si posano anche virtualmente sulle bacheche social. Che, di nuovo, sono mezzi di comunicazione sociale forte, per affermare contrarietà assoluta al perpetuarsi della più bieca forma di annientamento umano.

Anche quando è fatto in nome della pace.

Solidali al popolo ucraino aggredito, che non si è dimenticato nemmeno di portare, fra bagagli di fortuna, insieme all’essenziale e i pochi spicci prelevati ai bancomat, i suoi animali.

Amici animali, animali essenziali, come ricorda la nostra rubrica.

Anche sui loro volti si percepisce la paura e il disorientamento. 

E solidali anche a quei tanti civili russi ingiustamente incarcerati, reputati dissidenti da Mosca per aver esposto pacifica opinione contro una guerra che repellono.

Lo sguardo del dolore

Cercando le parole giuste per esprimere cosa sia per me la guerra, utilizzo un confronto fra due sguardi intensi e carichi di risposte alla nostra questione spinosa. 

Due donne, due sopravvissute, due maestre.

Olena

La prima è Olena Kurilo, la maestra ucraina di 53 anni ritratta con il volto ricoperto di sangue fermato con le garze, che guarda in camera come in una condanna a chi ha scatenato l’aberrazione. Una donna che è simbolo del conflitto, in altri termini, mostrato anche sulla stampa propagandistica russa. La consolazione è che il suo sguardo ha smosso le coscienze dei non belligeranti.

È segnata in volto, ha perso la casa, si fa strada a stento fra le macerie, ma è miracolosamente viva, dopo il primo deplorevole attacco missilistico.

Russo, nello specifico, ma preme più sottolineare che ogni forma di attacco violento di un Paese verso un altro è vile. Sempre. Di Olena non si sa molto, se non che è una resiliente, in grado di coprirsi le ferite e affrontare con fierezza l’orrore e, con quel suo sguardo, condannare l’umanità nel punto in cui è tornata a un limite dal perdersi.

Chiara

La seconda fotografia è il ritratto di un nonna Chiara S., mancata ormai cinque anni fa. Lei, di anni ne aveva 96.
Non era una maestra.

Tuttavia era, come tantissimi nonni dei millennials, una maestra di vita. 

Aveva gli occhi segnati dalla guerra, dalla “miseria”, le cicatrici sul cuore, disegnava ancora casette e bambini a scuola, dove andava a fatica perché “a servizio”.

A malapena, aveva finito le elementari.

Nonostante questo, mentre ricordava con evidente dolore, descriveva con triste zelo i nazisti che cercarono di farle abuso nel retrobottega del forno dove lavorava.

In quell’occasione aveva conosciuto il suo salvatore. Un giovanotto che, finita la guerra, divenne suo marito.

“La guerra è quella cosa che ti resta impressa fra le rughe, nel cuore e negli occhi buoni”.

Ciò che accade è talmente doloroso che -per una ennesima volta- non trovo più le parole per scrivere.
I miei nonni hanno fatto la guerra, sono nati a ridosso della Grande guerra, e si sono conosciuti, in guerra.
Ne hanno viste e subite tante; ne hanno tratto momenti e vissuto tormenti. Oggi, se fossero qui, chiederei loro “come si fa?”.

“Nonna, come si può?”

Vivere così, dopo tanto dolore incessante (la Chiarina era nata poco dopo la spagnola), la troppa acredine attraversata, la lacrima pronta ad essere versata che a un punto si rallenta, quasi attonita, paralizzata.
Come si fa a percepire un inspiegabile (—ai più che non conoscono ansia e crisi di panico—) dolore nel petto, a vedere ciò che si vede, sapere anche solo parzialmente ciò che si sa, via via, ora per ora?
•Come?
•Perché?
•Quando?
A ognuno, lascio le interpretazioni del caso.

Ma so, per certo, che se “la bestia” Federico C., partigiano della Resistenza Italiana, e la mia Chiarina dagli occhi blu, fossero qui, e potessero rispondermi, come altre volte che riecheggiano nella memoria, direbbero che “la guerra è ciò che resta di più inspiegabile, falsato e brutto che esista. E che insegna il valore del ricordo e della fortunata sopravvivenza.”

Ma, per la Chiarina, e lo conservo nella mente dacché ero bambina:

È tutto ciò che non si deve fare.
Mai iniziarla! Ma se proprio capita, sempre sempre ristudiarla… altrimenti qualcuno rischia di rifarla

Lui, più impettito e fiero nel suo sguardo, che si rabbuierebbe immediatamente, ribadirebbe:

che non esiste vero onore infine nel vincitore che si è macchiato del sangue. Non importa quante siano le medaglie e gli elogi che si conquistano.

La tirannia è in chi la applica, ma anche in chi la segue, e in chi, purtroppo, esegue. 

 “Se c’è un pazzo, un satanasso, e nessuno lo segue, lo si deve prendere e lo si deve fermare. Resta un semplice folle da isolare. Il problema s’innesta quando il meccanismo umano si perde credendo, a quell’orribile follia, alla vergognosa supremazia, a quella malevola teoria dove aumenta la cattiveria. Dove questo trova credito e persone a seguito. Lì, lì, inizia la guerra”.

Per concludere, ricordo anche un insegnamento dei nonni, mio prezioso tesoro, ovvero: 

Ogni qualvolta ti sembra che l’umanità si spinga verso il baratro, tu cercala nei gesti di qualcuno che le ridoni speranza.

Perciò eccomi qui, a cercare ogni piccolo gesto di umanità rinvigorita, per rinvigorire anche la mia speranza.

Perché la guerra la spegne, la speranza.

Perché la speranza che la guerra spegne,

laddove si coglie ancora la bellezza,

la forza di chi si oppone alla guerra, il cuore la riaccende.

 

Nota Informativa

Ricordiamo che per aiuti umanitari per i più fragili, indifesi, bambini (Unicef, Voices of Children
Save the Children) si può ricorrere alle preziose risorse online e alla pagina ufficiale della Farnesina.

 

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La redazione di VanityClass.

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