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L’abbraccio tra Mancini e Vialli: una rivincita all’Italiana

Il toccante gesto fra i due ex giocatori che ha commosso il mondo 

Euro 2020 finale
Roberto Mancini Gianluca Vialli vittoria contro Inghilterra

Quella di Mancini e Vialli è la storia di un abbraccio che profuma di rivincita.

Domenica 11 luglio 2021 si è disputata la finale degli Europei di calcio fra Inghilterra e Italia. La squadra degli Azzurri ha trionfato dopo un lungo match segnato dall’immediato vantaggio avversario e dal goal realizzato dallo straordinario “veterano” Bonucci. Un pareggio, i tempi supplementari e, infine, i temibili rigori. Una fatica enorme, fino all’ultimo tiro. Un’impresa, quella italiana, i cui protagonisti non sono stati solamente i giocatori. Un grande merito va al CT Roberto Mancini e all’amico Gianluca Vialli, suo secondo durante tutta la “galoppata” verso la coppa.

Ad aver smosso e commosso il mondo, lasciando negli spettatori un ricordo indelebile, è stato lo struggente abbraccio fra i due. Un frammento immortalato dalle telecamere, rimbalzato ovunque. Speranze, emozioni, abbandono, stordimento, condivisi con la velocità della società di oggi, che per quel momento si è fermata, si è commossa. Sentimenti sfociati in un giubilo che profuma di riscatto e rivincita. 

Roberto Mancini, L’allenatore finito in rete…

Roberto Mancini, classe 1964, è stato a lungo un giocatore della Sampdoria, e poi protagonista degli anni d’oro della Lazio. Appesi gli scarpini nel 2000, si è impegnato è diventato allenatore e, a seguire, commissario tecnico. Ha allenato partendo, da vice, prima Lazio, poi Fiorentina e Inter. Con questa ha vinto tre scudetti e svariate Coppe Italia. Il palmares è ricco: dalla Coppa di Turchia del Galatasaray allo Zenit di San Pietroburgo, fino alla conquista del campionato inglese con il Manchester City. Mancini è stato spesso paparazzato per l’impeccabile forma fisica e l’allenamento ferreo e partecipe della quotidianità dei ritiri. Nonostante i successi, quando prese il posto di Antonio Conte in vista di EURO 2020 fu criticato e pochi erano convinti che la Nazionale si sarebbe qualificata. Pochi credevano nel suo modulo di gioco e nel carattere “non adatto” a un ruolo simile. Nonostante questo, i meme e le infamie dalla rete, quel “Mister” così apparentemente pacato, dallo spirito remissivo e di poche parole, ha lavorato sulla coesione.

…e nel pallone

Dal primo giorno, soprattutto in questo tempo-non tempo fra 2020 e 2021 (tant’è che è slittato lo svolgimento del torneo stesso), ha lavorato sulla costruzione di un gruppo. A comporlo, ragazzi senza smania di protagonismo, individualismi, ricchi di passione, spirito di sacrificio, gioco e goliardia. Ragazzi che, come Spinazzola, si sono letteralmente spaccati sul campo, riaccolto a braccia aperte e portato in trionfo e stampelle, insieme alla coppa. Giovani, giovanissimi, presenti per gli altri, capaci di soffrire e sorridere. Ragazzi che hanno cantato l’inno semi ufficiale delle polpette (abbasso la dieta, insomma!) insegnato da Insigne. Pieni di sogni, hanno esultato con mosse divertite dopo capolavori calcistici. Ma ci hanno anche ricordato il valore della premura per i nostri cari, con la naturalezza del “leoncino” Federico Chiesa che, a fine gara, chiama la mamma. 

Sportivi umili, coraggiosi, come il Capitano Chiellini, che ha dedicato la vittoria ai tifosi e ai caduti in conseguenza del Covid-19, onorando l’operato impagabile degli operatori sanitari. Con un pensiero rivolto all’amico Davide Astori.

Calciatori capaci di far leva sui ricordi d’infanzia, come Ciro Immobile e il suo elogio a Lino Banfi nei panni dell’Allenatore nel pallone Oronzo Canà. E forse con lo stesso spirito e sorpresa del film, partita dopo partita, minuto dopo minuto, la vittoria doppia si celava lì, in quel team coeso, forte, incredulo. Come ha candidamente ammesso “Gigio” Donnarumma, che non aveva capito avessimo vinto finto alla corsa dei compagni verso di lui, il grande eroe della porta azzurra.

La doppia vittoria di due grandi amici, nonostante tutto

La vittoria di Roberto Mancini è stata quella di aver giocato bene con i suoi, eliminando invidie potenziali (lo dimostra “l’anti-social” Sirigu, che ha inviato messaggi di supporto sulla chat whatsApp della squadra e creato un video per loro con le frasi più significative delle loro famiglie prima delle partite), rendendo tutti rispettosi del momento, delle norme, delle ideologie, e degli avversari. Nonostante tutto. 

Tuttavia, il maggior successo del Mancio è stato aver imparato a coltivare e portare avanti solide relazioni con i compagni anche fuori dal campo. Ha voluto con sé (a volte, dimenticandolo giù dal bus, momento epico al punto di  divenire “rito” scaramantico), il suo grande amico di sempre Gianluca Vialli, già in capo alla delegazione azzurra, reduce della lotta più grande, quella contro un tumore maligno. Mancini lo ha scelto per il suo valore umano e calcistico. Nonostante tutto.

Roberto ha imparato; Gianluca ha insegnato a noi tutti che una disfunzione, un’anomalia organica, seppur invalidante, può essere un valore aggiunto e impartire lezioni, empatia, carattere. Può riempirsi di momenti preziosi. 

Gianluca Vialli e la malattia: “La vita è per il 10% ciò che ti accade e per il 90% come reagisci”

Il cinquantasettenne Vialli è uomo che il dolore, in campo e soprattutto fuori, lo conosce bene. Nel 2018 parlò pubblicamente del suo tumore al pancreas. Uno di quei mali terribili che, una volta diagnosticato, è quasi impossibile da frenare, e per il 90% risulta mortale. Col coraggio di un grande campione, lui si è raccontato evidenziando limiti, paure, fragilità umane, ammettendo lo sconforto e quella voglia di lasciarsi andare, a fatica contrapposta al dovere di risparmiare un dolore ai figli, in quanto padre, e agli anziani genitori, nel ruolo di figlio. Gianluca, il sopravvissuto, il trascinatore timido dal sorriso di chi, davanti alla vittoria finale, ancora non ci crede.

Di chi tiene quella Coppa incisa come il più grande riscatto della vita dopo una tale agonia che avrebbe spinto altri a spegnersi. Vialli, un uomo che, nell’euforia del fine partita è stato definito dai suoi “straordinario”, capace di insegnare come vivere, affrontare e farsi carico dei compagni del proprio cammino; anche quelli più scomodi, in ogni situazione. Non a caso, l’ex attaccante cita spesso che «La vita è per il 10% ciò che ti accade e per il 90% come reagisci».

I gemelli del gol blucerchiati della gloriosa Sampdoria di Mantovani

Roberto e Gianluca si conobbero a ridosso degli esordi in Serie A, nel 1985, negli spogliatoi della Sampdoria di Paolo Mantovani. Lì, “il Mancio” e  “Lucagol” divennero i gemelli del calcio. Grazie alle intuizioni dell’allenatore Boskov e alle parate di Pagliuca, vinsero insieme lo storico scudetto nel 1992, e in quel lontano  maggio, proprio a Wembley, furono sconfitti dal Barcellona nella finale di Coppa Campioni. (Allora si chiamava così, senza troppi inglesismi). In quegli anni crebbero atti di stima e bene fraterno, rivisti durante il torneo. L’ultimo gesto, il più intenso, è l’abbraccio della vittoria. Non senza lacrime.  Una di quelle gioie che aliena, e per un istante isola da tutto.

Ancora una volta, sullo stesso campo dove tanti anni prima la delusione era cocente, i due hanno vissuto il loro doppio riscatto. Come se in quell’abbraccio ci fosse l’intero cerchio di una vita di amicizia, nata sul campo di gioco, a volte persa qui e là, come spesso succede nei rapporti umani, ma perdurata, nutrita e rafforzata. Per ben trent’anni. 

Un cerchio che, dal blu genovese, si tingeva sempre più di azzurro e vittorie. Ancora una volta, come con la bravissima Spagna, la coppia d’oro Mancini-Vialli si ritrovava in un stretta, e gli Azzurri diventavano parte di qualcosa di più grande, di un’identità ritrovata. Quella di un Paese stanco di non avere il merito che gli spettava, lo stesso che in pochi mesi, nonostante tutto, aveva vinto l’Eurovision Song Festival con i Ma°neskin e che viene oggi celebrato e premiato anche nel film Pixar “Luca”.  

Amicizia e pastasciutta all’italiana battono il British FairPlay 4-3

E mentre l’azzurro diventava tricolore, lo stadio intero riconosceva la grandezza dei nostri, malgrado la non esaltante ospitalità inglese, evidenziata da tifo avverso, i fischi mentre risuonava l‘Inno di Mameli nello Stadium anglosassone. Pareva quasi una contrapposizione fra repubblica, rappresentata dalla sua massima carica, il Presidente Mattarella, che esultava in maniera composta, non lontano dal grande (e sportivissimo) secondo a Wimbledon Berrettini e monarchia, simboleggiata dalle ben più giovani icone contemporanee del Regno britannico in tribuna. Esaustive le immagini del piccolo di casa Windsor, George, fra mamma Kate Middleton e papà William; dapprima, come i futuri sudditi, esultante e poi, inevitabilmente, sconsolato, sotto gli occhi attoniti dei blasonatissimi Sir David Beckham, Kate Moss e Tom Cruise.

In mezzo ai vergognosi cori razzisti degli inglesi contro i loro giocatori, rei di essersi fatti parare i rigori, e alla desolante immagine delle medaglie tolte non appena consegnate agli sconfitti (Come a dire, ne devono ancora mangiare di pastasciutta, i grandi fairplayers!) si ergeva un tripudio di applausi per l’Italia da tutto il mondo (fa sorridere l’ironia di Scozzesi e Irlandesi, ma mai quanto il tifo dei “cugini” francesi sulla famosa promenade di Nizza).

La Repubblica degli abbracci

Ancora una volta, gli Azzurri hanno vinto al momento della resa dei conti, e della tenuta dei nervi. Dopo infiniti mesi di sofferenze, privazioni, isolamento, questi gesti spontanei verso gli altri sono diventati il punto più immediato per descrivere ciò che più ci è mancato: la straordinarietà dell’ordinario, il ritrovarsi e stare insieme, l’appartenenza, un momento di unione, rito. Come un gruppo. 

Insieme a Daniele De Rossi e Lele Oriali, così come a quelli degli altri vincitori, quell’abbraccio fra Mancini e Vialli, la prossemica stessa, è stata racconto della vittoria e del merito di due uomini ispirati. Della loro costanza, del lavoro e della fiducia. Nonostante tutto. 

Si parla di Rinascimento Azzurro, e di come in mezzo alle difficoltà, alla malattia, si sia trovato il coraggio di rialzarsi, un respiro dopo l’altro.

E in questo, gli Italiani, hanno -noi tutti abbiamo- dimostrato quanto possano essere unici. Insolenti, sconclusionati, arrabattati, contraddittori, irriverenti, perdenti ma mai nello spirito. Resilienti, con un cuore che si stringe in uno slancio che assume le tinte del riscatto di un’intera Nazione e del suo popolo. 

Quella di Mancini e Vialli è un’immagine vivida della storia del bel calcio, del rispetto, che diventa la storia di un abbraccio che profuma di rivincita. Una rivincita italiana. O per meglio dire, di una rivincita all’italiana.

 

Redazione

Scritto da Redazione

La redazione di VanityClass.

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