L’iperplasia prostatica benigna colpisce milioni di italiani; cos’è e che sintomi dà?
“E’ una patologia – ipertrofia prostatica benigna clinica – che interessa circa il 20 percento della popolazione degli over 50”-dice il Professor Rocco Damiano Ordinario di Urologia e Direttore UOC Urologia
“E’ determinata da una condizione istologica – ingrandimento della ghiandola prostatica – molto diffuso, per cui ne soffrono il 50% degli italiani tra 50 e 60 anni.
Ed è incrementale perché si riscontra nell’80% dei novantenni.
Parliamo di una ipertrofia delle ghiandole che avvolgono il canale uretrale, che possono cresce sotto lo stimolo ormonale, infiammatorio, o solo per l’età.
Crescendo occludono e distorcono il lume del canale uretrale.
E determinano una difficoltà ad urinare, la condizione che viene definita IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA CLINICA.
I sintomi più comuni sono la aumentata frequenza minzionale diurna e notturna, l’urgenza minzionale, il dolore o la difficoltà ad urinare.
Ma anche l’incompleto svuotamento della vescica ed il gocciolamento di urine dopo l’atto minzionale”.
Come si cura e quali sono le tecniche chirurgiche in uso? Facciamo una panoramica
“Vi voglio descrivere come si è evoluto il trattamento di questa condizione cosi frequente.
Prima degli anni 2000 chi era affetto da tali disturbi attendeva sino al peggioramento del quadro clinico.
E alla comparsa delle complicanze, si sottoponeva alla chirurgia.
Oggi questo approccio non è più perseguibile, considerato l’interesse verso i bisogni di benessere oltre che di salute, quindi l’attenzione alla qualità di vita.
Alla prima comparsa dei sintomi in età giovanile norme comportamentali possono aiutare a gestire i sintomi
Esistono anche terapie farmacologiche che possono rallentare la condizione di ipertrofia e prevenire lo sviluppo della malattia.
Poi ci sono farmaci, che alleviano i sintomi ma compromettono l’attività sessuale, quindi non aiutano complessivamente il benessere urologico e sessuale del maschio.
E quando la terapia medica non funziona più, si ricorre alla chirurgia.
La tecnica chirurgica considerata oggi il “golden standard” è la resezione della ghiandola attraverso il canale uretrale, l’acronimo TURP.
Se la ghiandola è molto grande si può ricorrere ad una enucleazione con laser.
Entrambe compromettono l’eiaculazione, e quindi la vita sessuale nel suo complesso, problematica di particolare attenzione per i più giovani.
Esistono invece nuove tecniche oggi chiamate “ultramininvasive” che sono in grado di assicurare il benessere urologico e anche sessuale.
E il cui impiego richiede una specifica selezione del paziente.
Le Tecniche
L’ablazione con sistema robotico ad acqua (AQUABEAM), la vaporizzazione con acqua ad alta temperatura (REZUM).
Poi il posizionamento di ancorette in nitinol (PUL) oppure di stent intraprostatici (ITIND)per distendere il lume dell’uretra”.
Quali di queste tecniche preserva una buona qualità della vita…anche sessuale?
“Tutte le tecniche ora descritte consentono di migliorare i sintomi urinari e di preservare l’eiaculazione.
In queste tecniche strutture come il “collicolo prostatico” ed il “collo vescicale” vengono risparmiati, evitando che durante il rapporto sessuale il liquido seminale finisca in vescica”.
Che differenza c’è fra gli ‘stent prostatici’, Il vapore acqueo e il laser?
“Tutte sono tecniche ultramininvasive con risultati a distanza simili al golden standard ma con un migliore impatto sulla eiaculazione.
Molti di questi, sono già ampiamente utilizzati, ed hanno il marchio CE.
Gli stent prostatici (ITIND) le ancore in nitinol o il laser per l’ablazione transperineale possono essere effettuati senza anestesia.
L’ablazione con il laser, questa ultima novità , è adatta a prostate piccole.
E prevede, sotto controllo ecografico, il posizionamento perineale nella prostata di uno o due aghi sonda che rilasciano l’energia nella ghiandola riducendone il volume.
Tutto senza compromettere collo vescicale e collicolo seminale.
Il sistema robotizzato ad acqua ad alta pressione (AQUABEAM) è piu indicato per le prostate grandi).
Quello che impiega il vapore acqueo (REZUM) o il laser per l’ablazione perineale richiedono invece un’anestesia loco regionale”.
Quali sono i vantaggi invece per il sistema sanitario? Perché queste terapie ultra mini invasive possono essere eseguite in ambito ambulatoriale o di day hospital…
Inoltre quali sono le vostre proposte per riorganizzare la rete ospedaliera ?
“La pandemia ha messo sotto stress la sanità evidenziando tutte le criticità.
Bisogna tutti essere attori nel riorganizzare la rete ospedale-territorio.
E dare più spazio alle attività che possono essere fatte in regime ambulatoriale e valorizzare le attività del territorio, decongestionando l’ospedale che deve farsi carico dei pazienti “acuti”.
E’ auspicabile che questi pazienti vengano in futuro tutti trattati mediante chirurgia mininvasiva ambulatoriale, e non più lunghi ed inutili ricoveri, che però oggi premiano l’ospedale.
Inoltre non vi deve essere competizione tra gli ospedali nell’erogare le stesse prestazioni, ma bisogna costruire una logica di rete, anche con la sanità privata.
E’ ora necessaria una piattaforma nazionale per condividere tutti i dati di salute e fornire servizi di telemedicina e teleconsulto.
Inoltre queste nuove cure “ultramininvasive” vanno standardizzate su base nazionale.
E’ necessaria una revisione dei compensi DRG.
Ed è necessario un continuo monitoraggio degli esiti di tutti i centri per garantire sicurezza e qualità delle cure”.