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Met Gala 2021: storia, rivisitazione e lezione della moda americana

L’evento di punta newyorkese ha visto tante celebrities reinventare abiti cult, fra sbavature, polemiche per Kim e perfezione sartoriale. E i Bennifer al bacio

Met Gala

Il Met Gala torna protagonista illustre della Grande Mela

Il Costume Institute Met Gala, semplicemente noto come “Met Gala” è l’evento più atteso dell’anno negli USA.

Precede tutti i “red carpet” celebri della stagione (fra i primi, gli Emmy Awards).

Si tratta di un galà molto formale, ideato dal Metropolitan Art Museum of New York (MET) a scopo benefico per la sezione del Costume Institute che apre la stagione autunnale.

È indubbiamente uno degli eventi più ambiti a cui partecipare per le celebrities.

Parallelamente, è un momento di gloria (a volte discutibile -n.d.r-) per gli stilisti di tutto il mondo che si sbizzarriscono cercando di seguire la linea guida tematica indicata dagli organizzatori.

Dalla cena di mezzanotte di Eleanor Lambert al lusso di Diana Vreeland: la nascita di un evento mitico

Nato nel 1948 come idea della pubblicista di moda Eleanor Lambert per la raccolta fondi del nuovo Istituto, nell’ala museale dedicata alla storia del costume e della sua mostra.

Tuttavia, la particolarità dell’evento è che ogni anno il dress-code si ispira ad essa. 

A fronte di un biglietto che costava, all’epoca, 50 dollari per invitato, si aveva accesso ad un’elegante cena di mezzanotte che si ripeteva ogni primo lunedì di maggio al Waldorf Astoria

Il primo grande cambio avviene nel 1971, quando l’evento si sposta direttamente all’interno dello spazio museale del Costume Institute.

Da quel momento, annualmente, lì, al 1000 della Quinta strada, s’inaugura l’exhibit, la mostra, che permane per mesi.

A donare un tono esclusivo e di eco internazionale, è stata la speciale consulente artistica del Fashion Institute Diana Vreeland; colei che collaborò e rivoluzionò prima il magazine “Harper’s Bazaar” e fu poi a capo di “Vogue”.

Fu proprio lei, nel 1976, a ideare un lussuoso spettacolo divenuto il vero gioiello della corona sociale della grande metropoli. È più che mai una delle manifestazioni più esclusive e blasonate, nonché l’evento di raccolta fondi più redditizio al mondo.  

Punto di forza del jet set più sfrenato, il Met Gala era una serata di gran lustro, dove l’élite si riuniva e presenziava con abiti di altissima sartoria e grande charme

A volte, è stato notevolmente criticato per alcune scelte azzardate delle star, che hanno scelto con i loro stilisti abiti definiti inadatti dalla stessa Vreeland.

Dal 1995 l’organizzatrice è Anna Wintour, anch’ella già a capo di “Vogue”.

Il Met Gala ieri e oggi: da LadyD e Jackie O a QueenB e Lil Nas X 

Nei primi anni, i nomi più illustri furono quelli di grandi nomi regali e politici, fra cui spiccavano indubbiamente la Principessa Diana e il Principe Carlo d’Inghilterra, insieme a Jacqueline “Jackie” Kennedy senza l’amatissimo marito JFK, ormai sposa Onassis.

Dai divi di gran classe si è passati a icone di eccentricità, rappresentative dei loro tempi, come ad esempio Cher, accompagnata dal suo amico e designer Bob Mackie.

Oggi, a presenziare e farsi fotografare sono vip hollywoodiani di cinema, musica, stilisti, influenze e star social come anche le it-girls: l’inglese Poppy Delevingne.

Sempre più in ascesa, era presente anche la giovane tiktoker (e novella attrice de “He’s all that” per Netflix) Addison Rae su tutte.

Come già nei Nineties, anche altre super modelle non mancano: le sorelle Bella e Gigi Hadid, Kendall Jenner, Kaia Gerber. Costei, figlia di quella Cindy Crawford che, insieme, fra le altre, a Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Helena Christensen hanno creato il concetto stesso di top-models.

A cavallo delle due generazioni, indimenticabili Kate Moss, gli “Angeli di Victoria’s Secret” Gisele Bündchen, Miranda KerrTyra Banks, Bar Rafaeli, Adriana Lima e Irina Shayk, tuttora molto richiesta sulle passerelle.  

Da gran party dell’anno, via via, la serata è diventata prima un ritrovo di punta dell’alta società e infine, un evento mediatico senza precedenti, secondo per importanza pari alla notte degli Oscar.

Malgrado lusso e sfrontatezza non manchino, come l’accaparrarsi foto a più non posso e la corsa verso la famosa scala d’ingresso, molti sono i nostalgici delle vecchie edizioni: più focalizzate sulla mostra, e non sul dar mostra di sé.

Il ritorno del Gala in pompa magna: non solo vip, lustrini social, ma importanti tematiche sociali

A causa della pandemia, l’edizione del 2020 è stata sospesa, ma quella del 2021 è stata un omaggio alla moda e alla sua rivisitazione americana. Nello specifico, In America: A Lexicon of Fashion

Occasione ghiotta per il gossip, non è mancato il momento romantico con il bacio in mascherina(in)a dei “Bennifer Ben Affleck e Jennifer Lopez. Entrambi in Ralph Lauren, lei indossava un abito rivisitazione Wild West. Molto apprezzato è stato l’elegante gesto di Ben, che ha lasciato Jenny prendersi la passerella da sola, per poi rimanerle accanto tutto il tempo.

Dopo la prima uscita di coppia ufficiale alla première fuori concorso del film di lui “The Last Duel”  con l’amico Matt Damon al Festival di Venezia, i due sono ancor più inseparabili. 

Cara Delevingne, sorella di Poppy, era presente con un importante messaggio politico riguardo al femminismo con il suo irriverente abito realizzato da Maria Grazia Chiuri (Dior). L’abito citava “Peg the patriarchy” coniato da Luna Matatas già nel 2015

Altrettanto importanti, sono stati i messaggi a supporto dei temi più discussi in questi ultimi anni:

  • tassazione per i più ricchi, argomento molto attuale per il quale c’è fermento anche da parte di attori del calibro di Chris Evans. Portato in parata dalla deputata greenAOC” Alexandria Ocasio-Cortez, che con l’abito dalla scritta “Tax The Rich, è stato il più irriverente e vittorioso. Realizzato dall’amica Aurora James, Alexandria ha voluto sostenere le donne di origini umili. 

Tuttavia, non sono mancate le critiche e le spigolature sull’ipotetica ipocrisia della donna, che si è difesa sostenendo che il mezzo fosse il messaggio stesso. Alexandria ha anche aggiunto:

“Anche gli abiti sono politici a seconda di chi lo ha disegnato, di chi lo veste e di quello che vogliamo dire. Ci siamo confrontate a lungo sul cosa significhi essere una donna di colore e proveniente dalla classe operaia sul red carpet.

Ora è il momento per l’assistenza all’infanzia, l’assistenza sanitaria e l’azione per il clima per tutti. Tassiamo i ricchi!”

  • parità di genere: oltre a Cara, anche la politica Carolyn Maloney ha messo in evidenza il problema, non con parole, bensì attraverso il colore. Quello usato dalle storiche suffragette
  • mondo LGTB+ la calciatrice Megan Rapinoe nel suo tailleur rosso di Sergio Hudson ha lanciato un messaggio chiaro con la scritta sulla clutch blu “In gay we trust”, contro l’omofobia. Allo stesso modo, l’attore canadese ospite di Cartier, Dan Levy in un prezioso completo sartoriale LOEWE ha scelto di celebrare, con il ricamo del bacio di due uomini, “l’amore queer, contro ogni forma di odio”
  • Alcuni personaggi hanno sottolineato la delicata tematica dell’immigrazione e della discriminazione. Benché gli States rappresentino un Paese, sulla carta, molto inclusivo, spesso le minoranze etniche sono ancora, spesso, agli angoli della società. Splendente come i tanti cristalli, la rapper americana Saweetie. Per evidenziare questa discrepanza fra stile americano e ricordo delle proprie origini, anche la cantante neozelandese di origine asiatica Rosé, insieme alla campionessa di tennis Naomi Osaka, di origini nipponiche e haitianeNel suo outfit, con abito Louis Vuitton, trucco e acconciatura, ha voluto omaggiare il multietnico di se stessa. 
  • Un tema-non tema è stata anche l’amicizia, come quella della giovane mamma Gigi (Hadid) e Kendall (Jenner). L’abito di quest’ultima, un tripudio di nude look rivestito di cristalli, è una rivisitazione dell’elegantissimo modello di Givenchy indossato da Audrey Hepburn

Resta ancora di difficile comprensione la scelta di Kim Kardashian, completamente coperta da testa a piedi, nella la sua tuta (Balenciaga)-manifesto totalmente nero. (Che, in ogni caso, è già di tendenza). Criticatissima, anche in vista del ritorno dell’imposizione del burqa neri integrali alle donne, in coraggiosa protesta, dal nuovo regime Afghano. E allo stesso modo è difficile comprendere l’eccesso del rapper Lil Nas X. Il cantante, che ha appena pubblicato il suo primo album, “Montero“, si è presentato con la “corazza” dorata firmata da Donatella Versace (che ha vestito, fra le altre, anche l’eterea Taylor Hill).

Nonostante ciò, ha raccontato di essersi ispirato, sempre come richiamo al multietnico, al protagonista degli anime giapponese Gilgamesh, il re degli eroi di “Fate/Stay Night“.

L’ode principale agli Stati Uniti è probabilmente quella offerta dalla “poetessa e attivista della Casa Bianca” Amanda Gorman. La giovane afroamericana laureata ad Harvard che ha accompagnato Biden nel giorno dell’Insediamento, e che ha indossato un abito blu elettrico senza spalline e una borsetta a forma di libro e accessori argentei a richiamo della Statua della Libertà.

Moda americana protagonista anche al Met Gala 2022

La prossima edizione tornerà ad essere estiva; più ampia, naturalmente di nuovo in presenza, e avrà luogo il primo lunedì, come tradizione pre Covid, del maggio 2022. Ancora una volta il tema principale sarà la moda americana con la mostra “In America: An Anthology of Fashion”.

Un’evidente voglia di ripartire in sicurezza, cercando di lasciare indietro lo spettro, purtroppo ancora presente, della pandemia.

E, nondimeno, il dolore per i soldati americani di rientro dalla tristemente nota guerra Afghana, e il desiderio di sognare, e poter aiutare il Pianeta

Quello del Lexicon of Fashion è un evento che apre a ridosso della Settimana della Moda Newyorkese.

Prima dello stop nel 2020, l’ultimo tema scelto era stato quello della stravaganza (“Camp”)

La scelta di creare un filo conduttore fra gli eventi è voluta, scelta e argomentata dal curatore stesso del Costume Institute Andrew Bolton, che ha dichiarato:

“Volevamo consapevolmente che questa fosse una celebrazione della comunità della moda americana, che ha sofferto così tanto durante la pandemia”

Coordinato e organizzato nuovamente da Anna Wintour, il Gala presenta rigide (e a tratti ilari) regole ferree: 

  1. Niente selfie (nel 2015 si bandirono persino i social media dei partecipanti, decisione molto discussa)
  2. Nessun personaggio, figlio o personaggio famoso stesso, minorenne è ammesso
  3. Non sono ammessi addetti stampa e pr ad accompagnare gli ospiti famosi che rappresentano
  4. Vige una sorta di obbligo ad interagire e socializzare, in quanto il singolo invito al tavolo equivale ad un costo di circa $275000. Un rifiuto coinciderebbe a grande sgarbo, così come a un mancato rinnovo per un’altra partecipazione. Inoltre, anche per i partner, divisi nelle sedute, i posti sono decisi in modo che il dialogo sia incentivato. Il punto è, difatti, concentrarsi e incuriosirsi su ciò che fanno gli altri ospiti
  5. Curiosamente, cocktail e cena sono studiati al meglio e correlati al tema scelto; alcuni cibi sono vietati, come cipolla e aglio (ilarmente, ne comprendiamo il motivo -n.d.r.-), e lo stesso vale per il vino rosso, decisione presa dopo il vestito di Karlie Kloss irrimediabilmente segnato al punto di essere sostituito a metà serata, nell’edizione del 2016. 

Diana Vreeland e Anna (che non veste solo Prada) Wintour. Due direzioni agli antipodi, fra Vogue e la “nobiltà americana”: celebs e vip

Diana Vreeland: da Parigi, alle le amicizie con Coco e Elsa fino a NY

Diana Dalziel nacque a Parigi nel 1903 da padre inglese e madre americana.

Fin dalla prima adolescenza mostrò una passione smodata per i dettagli sartoriali.

Addirittura dipinse le pareti scure della sua stanza col blu cangiante delle lampade, che tinse di nero. Allo stesso modo, la sua vita fu caratterizzata dall’insicurezza del suo aspetto, avvilito da episodi di bullismo delle coetanee. 

Malgrado ciò, e qui si formò il suo carattere, quel suo lato introverso, curioso e così preso di mira divenne il suo punto di forza. La sua eccentricità, insieme al suo buongusto, la passione per la moda, le permisero di emergere e avere una sfavillante vita sociale. 

Fu gradita ospite di party esclusivi e brevi vacanze con amici tra le personalità più in vista di quegli anni, trasformandosi in una giovane donna sempre più sicura di sé. 

Nel 1923 incontrò l’amore della sua vita, Reed Vreeland. L’anno successivo si sposarono. L’abito in satin bianco che Diana indossò fece subito moda grazie allo stile medievale e al bouquet di gigli.

Quando nacquero i due figli, si trasferirono a Londra nel 1929, e il suo nome fu noto a tutti per la grazia, lo charme e il gusto impeccabile e sui generis, capace di rivoluzionare i dettami dell’abbigliamento fino ad allora in voga. 

Divenne tanto nota da essere ritratta in copertina da Vogue nel 1933 con indosso un Mainbocher e fu grande amica delle grandi riformatrici e “rivali della moda” Coco Chanel e Elsa Schiaparelli

Why don’t you?

I Vreeland si trasferirono poi a New York, la cui social élite cercava di attrarre personaggi di spicco dall’Europa. Il redattore capo di Harper’s BazaarCarmel Snow, notò subito la propensione e il talento di Diana, che assunse come redattore per il settore moda con la sua colonna di suggerimenti “Why Don’t You?”, che ottenne straordinario successo.

Proposte irriverenti come: 

“Perchè non… lavare i capelli di vostra figlia con dello champagne francese così da dargli un color oro delizioso? o “non indossare di giorno guanti di paillettes oro?”

Pioniera delle Fashion editor odierne, divenne icona di se stessa, e non volle più semplici immagini sui giornali, ma modelle che li indossassero.

Grazie a lei, coordinatrice di fotografia e servizi, HB non fu mai più la stessa.

La Vreeland fu inoltre fiera sostenitrice dei designers emergenti americani

Nel 1963 iniziò l’avventura con Vogue, competitor di HB. Prima associata, poi redattore capo.  Le venne richiesto di aumentare le vendite, e lo fece, a suo modo: rivoluzionando la rivista stessa. 

E soprattutto, col coraggio di mettere in evidenza ciò che a lei, “la dea della moda”, piaceva. Andando oltre il già visto (ciò che accade oggi), organizzando reportage, contesti narrativi specifici delle modelle. Servizi come quelli ai quali noi siamo -oggi- abituati. 

Fu la prima a recarsi con i famosi fotografi Richard Avedon e Patrick Lichfield alla ricerca di luoghi esotici come Marocco e Thailandia, Il suo ufficio rosso fu simbolo della sua personalità.

Tuttavia, con l’avvento degli anni ’60, le proteste sociali, fu accusata di rappresentare lo sperpero e licenziata, a sorpresa, nel ’71

Fu un duro colpo per lei, che dopo la morte di Reed nel 1966 si era rifugiata nel lavoro.

Diana e il suo Met Gala: “Think big, make big”.

Persa emotivamente, l’occasione per riaffermarsi arrivò con la proposta di reinventare il Met Gala da parte del direttore del Costume Institute of Metropolitan Museum Thomas Hoving nel ’72. Nondimeno, la sua candidatura fu ampiamente sostenuta da Jacqueline Kennedy Onassis, che trovò profondamente ingiusto il suo licenziamento. 

Per dare lustro all’Istituto del Costume, Diana, che ebbe campo libero per spaziare con la creatività, optò per sensazionali mostre capaci di attrarre con grande appeal le personalità di allora.

Fra queste: Andy Warhol, Elizabeth Taylor, Diana Ross, Elton John, Liza MinnelliBianca Jagger, Cher.  

Allo stesso modo avvicinò il pubblico più comune, che si sentì in qualche modo partecipe più vicino ai suoi idoli. Il punto chiave del “suo” Gala fu decisamente molto americano:

“Think big, make big”

Vreeland insistette sull’uso di profumi da far propagare nell’aria, luci orientate su abiti meno di spicco, e lampade soffuse. Scardinò, in questo modo, i preconcetti del museo.

Al Met Gala da lei pensato, non mancarono nemmeno scenografie di grande impatto.

Per il 10° anno delle esibizioni da lei organizzate, Diana fece spazio per il ballo intorno al Tempio di Dendur, donato dall’Egitto agli USA, esposto al Metropolitan.  

Delle 12 esibizioni che rappresentarono anche la sua idea di Met Gala e mostre correlate, le più apprezzate e prese d’assalto furono “Il mondo di Balenciaga” e “La gloria del Costume Russo”. 

Senza la Vreeland, la sua unicità e la sua ricerca, il suo essere manifesto di innovazione e femminilità, non ci sarebbe stato l’ambiente ideale per l’ascesa di una giovane Anna Wintour.

(E, aggiungiamo, nemmeno per ciò che è venuto dopo di lei, -n.d.r.-)

Anna “Nuclear” Wintour 

Anna Wintour nasce il 3 novembre 1949 a Londra. Figlia d’arte e con un dna giornalistico segnato, è la maggiore della prole di Eleanor e Charles Wintour, celebre editore del “London Evening Standard“. Celebre nel mondo come la più potente ed influente fashion editor al mondo, a capo di “Vogue USA“, ne ottiene la direzione nel 1988.

La sua immagine iconica fra maxi occhiali neri e caschetto “bob” corto con frangetta è noto anche ai meno avvezzi del settore. 

La sua vita adolescenziale fu tanto agiata quanto ribelle, al punto che si ribellò agli studi presso il North London Collegiate School, in quanto reticente ai dettami nell’abbigliamento. Era solita immergersi nell’eclettica e frenetica vita degli anni ’60 della capitale inglese. Iniziò a frequentare gli stessi grandi club dei Beatles e Rolling Stones. S’innamorò, a malapena quindicenne, dei più adulti Piers Paul Read e Nigel Dempster, esperto di cronaca rosa. A soli sedici anni, abbandonò gli studi per diventare apprendista da Harrod’s, iscrivendosi ad un istituto di moda, che lasciò incompiuti, sostenendo di non dovervi apprendere molto di più di quanto lei già non sapesse. 

I primi passi nell’editoria della moda, che “o conosci o non conosci”: da Londra a NY, fra amori, dissapori e la settimana in fuga con Bob Marley

Grazie all’incontro con un fidanzato entrò nella redazine di “Oz“, per poi approdare ufficialmente nel mondo più blasonato dei magazine celeberrimi come “Harper’s Bazaar UK” nel 1970. Fra vecchie e nuove conoscenze, collaborò con fotografi del calibro di Newton e Jim Lee, portando alla fama come modella l’ex compagna di scuola Annabel Hodin, affermatasi poi come stylist internazionale.

Si trasferì a New York City con il giornalista freelance Jon Bradshaw, suo compagno dell’epoca, a seguito di divergenze direzionali con la sede inglese di Harper’s Bazaar. Nonostante ciò, venne assunta nella sua sede newyorkese, dove la licenziarono soltanto nove mesi dopo. Grazie a Bradshaw divenne amica del leggendario Bob Marley, con il quale si estraniò dal mondo per una settimana.

Ottenne un incarico per la rivista femminile “Viva“, gestita dalla moglie del direttore di “Penthouse“, Bob Guccione. In ufficio le venne assegnato un assistente personale, ed emerse (descrivendolo) il suo lato esigente ed intransigente. Dopo l’insuccesso e la chiusura della rivista prese una pausa dalla città e lasciò Bradshaw. Nei due anni a seguire si spostò spesso a Parigi per una relazione con un discografico francese, Michel Esteban. Due anni dopo, nel 1980, tornò al lavoro in una piccola testata, e nel 1983 approdò a “Vogue” (USA).

Prima però, Alex Liberman, direttore editoriale di Condé Nast, le propose un posto in azienda, e Anna riuscì a farsi riconoscere il ruolo di prima direttrice creativa del giornale, con uno stipendio raddoppiato. Sposò il neuropsichiatra infantile inglese David Shaffer nel 1984, e divenne capo della redazione inglese, dove eseguì numerosi cambiamenti e licenziamenti che le valsero il titolo di “Nuclear Wintour” per i collaboratori, e “Wintour of Our Discontent”, per i giornalisti. 

Il Wintour Met Gala 

In riferimento al Met Gala, Anna Wintour subentrò nell’organizzazione della prestigiosa serata dopo la morte di Diana Vreeland, nel 1989. Immediatamente cercò di correlare l’evento come (ri)lancio della rivista di cui era appena diventata direttrice, “Vogue” (America).

La sua capacità di anticipare i tempi e il cambiamento epocale in cui stilisti e personaggi illustri creavano forti legami d’immagine (e di rimando economici) la portò a cercare di mettere in luce non più solo modelle, ma star di cinema, musica e tv.  

All’inizio ricalcò un po’ le idee di colei che l’aveva preceduta, poi intervenne anche fisicamente sulla presentazione davanti al museo: niente più transenne, moquette, giornalisti non in eleganti smoking e scenografie di design contemporaneo, con concerti privati.

Dopo il Gala, “deludente” a detta (stretta) di alcuni ospiti, la festa si è spostata e scatenata, come gli ospiti presenti, ai quali si sono aggiunti anche Chris Rock, Leomardo DiCaprio, Rami Malek, il magnate musicale Scooter Braun, il rapper Lil Baby e molti altri, allo Zero Bond in presenza dell’organizzatore e sponsor, Elon Musk, con un look ispirato al film “Dune”. (Alla cena, invece, era presente solo la moglie).

La Wintour e l’insegnamento dal passato: far tesoro a scapito delle antipatie

Memore dell’esperienza, seppur sfortunata, di “Saavy“, la Wintour spostò l’attenzione dall’eccentricità e dall’effimero verso tematiche di economia e politica, così da coinvolgere un pubblico femminile che si aspettava di sapere ciò che accadeva intorno. 

Di nuovo nella Grande Mela, per Condé Nast, diresse e stravolse anche “House&Garden“, con tagli evidenti. Come già scritto, arrivò alla direzione di “Vogue” per risollevarne le sorti: in quegli anni il principale competitor fu principalmente il periodico “Elle“.

Il suo metodo fu una metaforica esplosione nucleare: stop a modelle famose, spazio e attenzione agli abiti, creativi e volti emergenti. Il suo primo numero ebbe in copertina Michaela Bercu, diciannovenne con indosso jeans da 50 dollari e una semplice felpa fotografata dal genio Peter Lindbergh. Una cover insolita per un’utenza abituata alla haute couture tipici delle riviste degli anni ’80.

Mentre la vita lavorativa procedeva brillantemente, quella personale ebbe una prima battuta d’arresto con la fine del matrimonio con Shaffer, nonostante i due avessero avuto due figli, Charles e Bee. Quest’ultima è oggi la moglie del figlio dell’amica, nonché commemorata direttrice di “Vogue Italia“, Franca Sozzani. Sul lato personale, sposò nel 2004 il texano Shelby Bryan, imprenditore nelle telecomunicazioni. La loro relazione finì fra rimpianto e amicizia nel 2020, anno reso più duro per colei che riusciva a ridere solo grazie a lui. 

Un’insolita caratteristica della Wintour è il rapporto con l’Italia e con lo stile inconfondibile italiano. Mentre il mondo osannava il nostrano Made in Italy, lei continuava a prediligere stilisti britannici e americani. Nonostante ciò, ama molto lo stile di Miuccia Prada (da qui il titolo del volume a lei ispirato) ed è rimasta in ottimi rapporti con l’ex direttore creativo di Yves Saint Laurent Stefano Pilati

Wintour: l’idea di una donna algida e vincente riconosciuta globalmente

Quello della prima copertina, pensata come errore degli stampatori da principio, fu in realtà la chiave del suo successo: puntare su attualità, pubblicità, personaggi popolari anche in altri ambiti. Seppe anche fare scelte azzardate, come mettere in copertina, sovvertendo regole e sfidando il mancato favore di pubblico, la coppia Kardashian-West. 

Nel 2017 ottenne il titolo di dama dalla Regina Elisabetta in persona per i suoi successi nel campo della moda e del giornalismo, e nel 2018 fu eletta direttrice a vita del giornale che, negli anni, tanto ha aiutato a rivoluzionare. 

Lauren Weisberger, sua ex assistente, pubblicò un romanzo ispirato alla sua figura fredda e dispotica nel 2003, schiva e introversa sul lato personale, che divenne un famoso film interpretato da Anne Hathaway (nel ruolo dell’impacciata assistente) e Meryl Streep, “Il Diavolo Veste Prada”.

Comparse in un cameo interpretando se stessa del film “Zoolander 2” di Ben Stiller.

Per quanto amabile per alcuni e detestabile per altri, Wintour è oggi la regina indiscussa del Met Gala, del trend setting. “Colei alla quale basta una frase per distruggere anni di carriera o lanciarla verso l’Olimpo del jet-set”. Un’affarista fiera, consapevole di limiti, pregi e difetti di se stessa, forte della strada tortuosa affrontata nella vita, lavorativa e privata. Capace di rinnovarsi e di rinnovare la moda, inneggiando a meno spreco e maggiore sostenibilità. Rimanendo, in ogni caso, se stessa:

“Alla fine io rispondo al mio istinto. A volte ho successo, e, ovviamente, a volte non ce l’ho. Tuttavia bisogna, penso, rimanere fedeli a ciò in cui si crede”

Vreeland e Wintour: quel che resta della dea Diana e ciò che conta per la regina Anna 

Vreeland e Wintour sono simboli, due donne che hanno rappresentato, esse stesse, delle epoche a confronto, di cui entrambe sono state grandi innovatrici.

La prima del lusso, dell’eccentrico, della grande manifattura e della passione fine a se stessa, senza parametri di contingenza in una società in costante evoluzione; e la seconda del rigore che scoppia in selezionato e ben studiato clamore, di una maggiore compartimentazione, che detta nuovi stili. E riguardando alla storia delle mostre a tema delle edizioni del Gala da loro organizzate, questo lungo percorso emerge come un lungo viaggio nella storia culturale e popolare. Anno dopo anno, di dettaglio in dettaglio. Met Gala dopo Met Gala.

Una vita, quella esibita dalla Vreeland, che fa eco ad un mondo più idolatrato, lontano, mitizzato, principesco, appannaggio delle sole riviste; e quella della Wintour, fatta di cambi improvvisi, ribellioni, “colpi di testa” (ma mai troppi dal coiffeur -n.d.r.-), sofferenze, errori e discordie, nonché amori sfuggenti; una vita quasi tangibile, quasi raggiungibile, dove anche social media toglie quello stato di divismo (a suon di like) che permette a quasi chiunque di sognare e, chissà, di partecipare. 

Nella speranza che al prossimo party sfrenato, l’istrionico Elon si ricordi anche di noi!

A cura di Veronica Fino

Redazione

Scritto da Redazione

La redazione di VanityClass.

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