Nella città l’inferno: Roma, carcere femminile di Regina Coeli. Fine anni Cinquanta.
La giovane Lina (Giulietta Masina) si è trasferita da poco a Roma da Bologna e lavora come domestica presso la casa di ricchi signori. A causa di un furto, Lina viene arrestata con l’accusa di aver favorito i ladri e viene mandata nella sezione femminile del carcere di Regina Coeli, in via delle Mantellate e si trova sin da subito spaesata e impaurita. Ad accoglierla, forse in modo un po’ brusco e disincantato, è la veterana Egle (Anna Magnani) avvezza al carcere da giovanissima e che ormai conosce benissimo i meccanismi del carcere e, quindi, la sottocultura carceraria femminile. Egle è, infatti, una ex prostituta che passa il suo tempo a dormire di giorno e a fumare sigarette di notte, impedendo alle altre compagne di cella di riposare.
Tra Egle e Lina nasce un’amicizia costellata da rimproveri e consigli dato che la giovinetta è inesperta e continua a proclamarsi innocente. Quando Egle si rende conto dell’effettiva innocenza della ragazza e, forse, spinta da un desiderio materno mai realizzato, decide di proteggerla e di aiutarla ad uscire di prigione. Per prima cosa, grazie ad una serie di passaparola, la coraggiosa Egle riesce a rintracciare il famoso ‘fidanzato’ di Lina. Si tratta di un certo Adone (Alberto Sordi) che in realtà si chiama Antonio Zampa, sposato ed esperto di truffe.
Nei mesi trascorsi in carcere, Lina dovrà imparare a difendersi, a crescere e a trovare un modo per dimostrare al giudice istruttore la propria innocenza.
Nella città l’inferno – L’ennesimo capolavoro del Neorealismo rosa
Il regista Renato Castellani, considerato dalla critica cinematografica italiana come il regista del Neorealismo rosa, è reduce di film di successo. Tra questi Sotto il sole di Roma (1949), Due soldi di speranza (Premio Grand Prix al Festival di Cannes nel 1952) e soprattutto Giulietta e Romeo (Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia nel 1954). Qui recupera il romanzo Roma, via delle Mantellate, pubblicato nel 1953 da Isa Mari (Luisa Rodriguez Mercurio) e si avvale della bravissima Suso Cecchi d’Amico per realizzare un capolavoro d’altri tempi tutto girato in interni e con due prime donne del cinema nostrano.
Un cast da Oscar
La Magnani (Premio Oscar come migliore attrice protagonista per il film La rosa tatuata, Daniel Mann, 1955) è perfetta nella parte di Egle. Non a caso, ricorre alle sue immense strategie recitative per creare il personaggio della prostituta matura. Vestita quasi sempre con una sottana scura, con i capelli arruffati e con la sigaretta in bocca, Anna si muove fiera dentro la cella come una leonessa nella gabbia. Sbrana tutti e tira fuori le unghie. Forte, fiera, disillusa, tiene testa a tutte le altre ‘ospiti’ del carcere mettendole, per forza di cose, in ombra o facendole, addirittura, sparire del tutto.
Non ha paura di mostrare la rabbia mista alla sua tipica e inconfondibile risata. Sceglie di aiutare Lina perché forse si rivede in lei quando era più giovane e vuole impedirle di commettere gli stessi errori.
La Masina, moglie e attrice feticcio di Federico Fellini, prova a mettersi sullo stesso piano della Magnani, fallendo. Ad ogni modo, mantiene il suo aplomb caratteristico e quella pacatezza che da sempre l’ha contraddistinta nei film del marito o in altre pellicole.
Calma quanto basta, forse troppo, Lina rappresenta l’innocenza spezzata dalle brutture del carcere e dovrà imparare presto le regole del gioco per sopravvivere.
Castellani sceglie cosa far vedere al pubblico. Si concentra su questo microcosmo nel quale si perde la concezione del tempo, dello spazio (limitato) e soprattutto i vari punti di vista si mischiano in un turbinio di emozioni.
Le suore, secondine del carcere, rimangono in penombra come la maggior parte delle incarcerate. Ciò nonostante, tra una scena e l’altra lo spettatore più attento e/o l’appassionato, potrà riconoscere alcuni personaggi, qui nel ruolo di caratteristi, famosi di quegli anni. Alberto Sordi, Renato Salvatori, la cantante Milly nel ruolo di Suor Giuseppina (Carla Mignone, qui accreditata come Milly Monti) e, soprattutto la giovanissima Marietta (Cristina Gaioni) nel ruolo di Piera che si innamora di un giovane che intravede dalla finestra del bagno della cella, usando un piccolo specchio. La Gaioni vincerà il premio come miglior attrice non protagonista ai Nastri d’argento nel 1960.
Una rivalità concreta e percepibile
La Magnani con questo film farà incetta di premi (David di Donatello nel 1959; Nastro d’argento nel 1960; Grolla d’oro nello stesso anno e il Sant Jordi come migliore attrice straniera nel 1961). Insomma, una dimostrazione del fatto che non abbia perso lo smalto e la credibilità dei tempi migliori.
Nella città l’inferno è un film che merita di essere rispolverato e mostrato alle nuove generazioni perché ha ancora tanto da offrire e da insegnare e non deluderà le aspettative del pubblico. L’acrimonia reale tra le due attrici protagoniste è ben visibile durante tutta la pellicola e la Magnani non perdonerà mai la Masina per averla definita ‘un’attrice di altri tempi, appartenente ad un’altra generazione’. Di contro, la Magnani farà di tutto per sovrastare la collega arrivando quasi a fagocitarla con i suoi sguardi e i soliti manierismi grazie alla splendida fotografia in bianco e nero di Leonida Barboni.
“Ti regalerò una rosa, piccolina come me…” (Ada Passeri – la detenuta Moby Dick).
Buona visione.