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Norma Angeleri, il metodo della maschera neutra, anima e corpo per il cinema

Norma Angeleri racconta il suo percorso artistico in esclusiva per Cineincanto

Norma Angeleri

Norma Angeleri transita permanentemente la recitazione. Non è solo un’attrice e regista argentina, è una delle più innovative e prestigiose docenti di recitazione, coach e direttrici di casting tra Europa e America latina. Un’ora di formazione e preparazione con Norma è un’opportunità rara, una scoperta di nuove vie di conoscenza di sé stessi.

Norma Angeleri, il metodo della maschera neutra, anima e corpo per il cinema
Norma Angeleri

Lei è una delle più apprezzate formatrici di recitazione tra Europa e America latina, qual è stato il momento in cui ha capito che la sua missione era formare gli attori?

Ho una formazione di attrice, in questa veste è iniziata la mia carriera, dopo aver lasciato gli studi di medicina. Nella mia vita e nei miei progetti c’era la recitazione e la regia, non avrei mai pensato di diventare anche docente. Dopo essere stata sua assistente, il regista Aldo Paparella, direttore di una scuola di cinema, mi propose di dare un corso di direzione di attori per futuri registi a Buenos Aires. Inizialmente l’’idea mi lasciava perplessa, non mi entusiasmava l’insegnamento, poi mi convinsi, pensai a un programma e iniziai con molto timore; per di più gli allievi erano appena qualche anno più grandi di me. Mi venne spontaneo iniziare con una specie di terapia d’urto, loro volevano essere registi e io chiedevo di recitare. Trovai molta resistenza, ma funzionò. Poi un agente mi propose di dare un laboratorio per attori di preparazione al casting e a me sembrava quasi una truffa a danno degli attori. In realtà negli Stati Uniti era già in voga questo tipo di laboratori e lui fu un pioniere in Argentina. Entrambi i corsi funzionarono alla grande. Incominciai a recuperare tutto il sapere che avevo ricevuto dai miei maestri, iniziai a mischiare tecniche e a sperimentare. Vidi i frutti sia negli attori che nei registi e mi innamorai dell’insegnamento. È una missione dura perché non si può intendere la docenza senza darsi con anima e corpo.

Qual è il confine sottile tra essere attori e insegnare ad esserlo?

Credo che la docenza faccia parte della recitazione, del lavoro dell’attrice. Non c’è un confine netto. A volte può essere la distanza che mantengo, altre volte è la generosità che devo avere nel trasmettere un sapere o un’esperienza che ho già vissuto e transitato. Essere attori significa essere nel “qui e ora”. Insegnare significa, anche, guidare all’osservazione e aiutare a vivere pienamente la situazione scenica che si sta dirigendo. Siccome parto dall’essere attrice, il confine si annulla perché vivo in maniera permanente le due cose. È un mondo che abito continuamente, anche come direttrice di casting.

Norma Angeleri, il metodo della maschera neutra, anima e corpo per il cinema

Da regista, secondo la mia personale visione, mi è sempre risultato difficile pensare alla figura del coach. Che significa essere coach e preparare un attore a un personaggio senza andare in conflitto con il regista?

L’attore deve essere diretto dal regista. La preparazione di un personaggio, però, è un’altra cosa, la può fare il regista o lui stesso convocare un coach. Sono due strade diverse. Forse la seconda è più difficile da intraprendere perché entra in gioco l’ego del regista che non permette che ci sia un’altra persona a dirigere i suoi attori. A volte, però, il regista sa quello che vuole, ma non sa come chiederlo.

Non trova che il saper chiedere a un attore debba essere una delle abilità di base di
un regista?

Sì, ma non è sempre così scontato. Qui in Argentina, per esempio, ci sono attori che vanno sul set con i loro coach. Il regista Marco Bechis, per esempio, mi chiamò per preparare i suoi attori alle riprese di Garage Olimpo (1999), uno dei migliori film che tratta il tema della dittatura in Argentina. Era una coproduzione italiana. Ogni settimana preparavamo le scene della successiva. Marco mi aveva dato solo alcune indicazioni, una in particolare, molto peculiare: nessun attore doveva sapere come andasse a finire la storia. Quando vengo chiamata come coach dalla regia, la prima cosa che faccio è incontrare il regista e capire la linea di direzione. È vero, però, che più spesso vengo chiamata dagli attori. Mi trovo davanti a persone che si sentono ancora “nude” rispetto al personaggio. Devono iniziare le riprese a distanza di una settimana e non hanno ancora avuto modo di incontrare il regista. Leggiamo insieme la sceneggiatura e io interpreto la linea che si vuole dare, sempre sapendo che quella può non essere la linea del regista. L’attore, però, può presentarsi sul set preparato, ma con la possibilità di “disarmarsi” nel momento della ripresa. Chi deve dirigere è comunque e sempre il regista, io sono un’allenatrice.

Facendo un bilancio: cosa le ha insegnato insegnare?

Io imparo tutto dallo scambio che avviene nei miei corsi con attori e registi. Concepisco la docenza solo in quest’ottica. Nell’apprendimento dell’allievo non può non esserci anche l’apprendimento da parte dell’insegnante, altrimenti imparare diviene stagnante, sterile. Insegnare mi ha insegnato molto della recitazione e della regia, ho imparato da attrice e ho imparato da regista.

Lei ha origini italiane, quanto ha influito la nostra cultura nel suo lavoro di attrice e
di coach?

Io sono di un paese della provincia di Córdoba. Mia madre, da quando ero molto piccola, mi portava tutte le settimane al cinema. Praticamente io sono cresciuta con Marcello Mastroianni e Sofia Loren. Da quando ho ricordi, conosco Marcello e Sofia. Ho interiorizzato il neorealismo italiano e mi sono fatta travolgere e ispirare dalla musica di Mina. Sono un continuo riferimento per il mio lavoro. La prima volta in cui sono stata a Roma, facendo un laboratorio per attori, accadde una cosa speciale. Mi chiamarono dall’Argentina per curare il casting di una produzione italiana. Non sapevano che io stessi in Italia. Lo stesso giorno, dopo la lezione, ero già a lavorare con il regista e il produttore. Con l’Italia c’è un’osmosi costante.

Norma Angeleri, il metodo della maschera neutra, anima e corpo per il cinema
Norma Angeleri

Cosa ha il cinema latinoamericano che manca al cinema europeo?

É una domanda difficile. In comune hanno il taglio intimista e il saper raccontare l’essenza di un popolo. Forse il cinema latinoamericano ha la capacità di essere essenziale e di raccontare a partire da piccole storie che riescono a riempire un film. Penso, per esempio, al film messicano “Roma”. Noi latinoamericani siamo abituati a lottare contro le avversità e il nostro cinema è fatto di artisti che oppongono la creazione a queste avversità. Riusciamo a fare un buon film con “dos pesos” o apriamo una sala teatrale nel corridoio di casa tua. Per noi, in Argentina, il teatro e il cinema indipendenti sono importantissimi.

Io sono stato folgorato dal suo personale adattamento del metodo della maschera neutra. So che è difficile spiegare in poche parole una pratica così complessa e ricca di sfumature, ma mi piacerebbe che Lei ci raccontasse di questa sua fortunata intuizione. Quali sono i benefici di questo metodo per un attore?

La maschera neutra parte da una teoria di Jacques Lecoq che lavora sul corpo e sul teatro fisico. Quando ero allieva di Cristina Moreira che studiò con Lecoq, ebbi una folgorazione. Improvvisamente mi dimenticai di tutti gli studi classici che avevo fatto (Stanislavsky, etc..). Il mio metodo personale, scaturito da questa folgorazione, è il risultato di ricerca e sperimentazione. Ho fuso il metodo Lecoq con le tecniche classiche e l’ho trasferito nel cinema. Ho scoperto che funzionava benissimo nella recitazione cinematografica. In sintesi, la maschera neutra precisa e pulisce il movimento. Durante la preparazione con questo metodo, l’attore, con una maschera in volto, smette di pensare all’espressione del viso e si concentra sul corpo e sul movimento. Durante questa preparazione esce fuori l’equilibrio o lo squilibrio dell’attore, l’eccesso o la giusta misura dell’espressività e così ci si può lavorare per migliorare. Con il tempo mi sono accorta che questa preparazione è fondamentale per la macchina da presa. Grazie alla maschera neutra, nel cinema, non ci sono eccessi. Penso che la costruzione del personaggio, nel cinema e nel teatro, sia la stessa, ma i formati di uscita siano diversi. Il metodo che applico nello specifico è definibile come la costruzione del personaggio a partire dalla neutralità. Il motto è: “Viso in equilibrio che suggerisce la sensazione della calma”. Da qui si aprono infiniti mondi. Questo allenamento conduce alla calma dell’attore, in modo tale che al momento delle riprese, si manifesti il personaggio e non l’attore. Permette che l’attore si renda conto di quando il pensiero è suo e quando è del personaggio.

Nella sua vita di donna, cosa le ha dato il suo metodo?

Mi ha dato precisione, essenzialità e direzione nella vita. Ha fatto in modo che io riuscissi a osservare meglio me stessa. Mi ha dato la pausa e il silenzio che, spesso, in ambito cinematografico, mancano agli attori, inghiottiti dalla voragine dell’azione. Mi ha insegnato la riflessione. Lecoq dice che la crescita artistica va a pari passo con quella personale; in me, in qualche modo, è stato così. Mi ha dato l’entusiasmo di insegnare con la felicità e la speranza che il mio piccolo apporto possa essere utile agli altri.

Carlo Fenizi
www.carlofenizi.com 

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