“Che ne sarà degli Orsi Polari”: il cambiamento climatico tema centrale anche al Festival di Venezia
“Very Important Bear”: gli orsi polari diventano star della Settantottesima edizione del blasonatissimo Festival in Laguna.
Ciao, noi siamo Cleo e Cora, due esemplari di orso bruno, ospiti serene del Parco Faunistico di Spormaggiore, in provincia di Trento.
Siamo due grandi amiche, e, sappiatelo, per gli orsi non è facile trovare, almeno in natura, relazioni stabili che non siano con i nostri cuccioli.
È doveroso elogiare gli organizzatori di un evento così blasonato come il 78° Festival del Cinema di Venezia per aver deciso di mandare in onda uno short movie dedicato agli orsi polari.
Non solo grandi attori, premi, bellezza, moda (indimenticabile la sfilata di Dolce&Gabbana con la regina assoluta e musa Jennifer Lopez), e impegno sociale, dunque, ma anche grande attenzione per la nostra Terra.
Muccino, Accorsi, Buonvino e EDI insieme per il WWF
“Che ne sarà degli Orsi Polari?”, diretto dal celebre regista Gabriele Muccino, prodotto e realizzato da EDI Effetti Digitali Italiani, è il racconto del simbolo del Circolo Polare Artico e del suo futuro.
Un futuro non roseo per questo magnifico plantigrado, che a causa dei cambiamenti climatici sempre più preponderanti, rischia di estinguersi entro il 2050.
E forse per questo rappresenta un tutt’uno con la zona artica: un essere così maestoso, dotato di grande sensibilità, indipendenza, benché coeso con l’ambiente circostante.
Un orizzonte ostile, difficile, gelido, ma in egual misura radioso nella sua bellezza, col sole che si rifrange nel candore.
Una natura che resiste, seppur scalfita, depredata, ferita.
Il grande Nord e il grande orso, protagonisti involontari di un richiamo all’attenzione per evidenziare la drammatica situazione di un ecosistema stravolto.
Nel film, un’orsa con i suoi due piccoli si sposta fra i ghiacci, via via più fragili.
Lì, cerca disperatamente di farsi strada, ma si ferma su un unico pezzo di ghiaccio rimasto.
Immagini di girato reali, poi digitalizzate con pixel.
È questo ciò che, qualora non si salvassero e preservassero gli ultimi esemplari, potremmo vedere prossimamente: solo ricostruzioni in 3D.
La voce narrante della pellicola è quella, ferma e ispirata, di Stefano Accorsi, che si rivolge agli uomini affinché intervengano celermente per cambiare le sorti per le generazioni a venire.
Ci rattrista pensare che si possano vedere immagini di ciò che resta dell’animale solo attraverso animazioni digitali.
Ad accompagnare le parole, il sottofondo musicale di Paolo Buonvino.
Realizzato nel 2018 per il WWF, il micro-film è attualmente trasmesso per l’intera durata della kermesse, a mo’ monito e sollecitazione per spostare l’attenzione verso l’enorme problema del clima.
Un tema caro ai potenti
I grandi della Terra si stanno occupando su più fronti per capire come intervenire per evitare conseguenze drastiche per il mondo. Fori sovranazionali delle maggiori economie del mondo come il G20 hanno istituito giornate per comprendere come intervenire per puntare sull’energia, all’insegna di quella rinnovabile, e il clima.
ONU, Organizzazioni internazionali, Capi di Stato, politici, attori (l’attivista da Oscar Leonardo Di Caprio, per citarne uno a caso), Papa Francesco.
Proprio quest’ultimo ha sottolineato la stretta correlazione fra crisi ambientale e umanitaria.
Il cambiamento climatico: globale, irreversibile, apparentemente impercettibile e costante, fino a quando non ne veniamo travolti.
Purtroppo, solo in quest’ultimo anno, abbiamo potuto vedere i disastrosi effetti di questo stravolgimento.
La Responsabile WWF Italia del settore clima ed energia Mariagrazia Midulla sottolinea il pericolo che viviamo tutti.
Noi animali, ma soprattutto voi umani; in riferimento a ciò, ha asserito che:
La crisi climatica mette a rischio le nostre vite, la nostra sicurezza e il nostro benessere. Lo abbiamo visto negli ultimi mesi. Dal caldo record e incendi in Siberia, Canada e Mediterraneo, fino alle alluvioni distruttive in Europa, in Cina e in altri Paesi
La Midulla avverte poi che ci troviamo all’ultima chiamata per cercare di limitare l’incremento della temperatura globale a 1,5°. Qualunque frazione di grado in più o in meno conta sul futuro di tutti, ricordando gli Accordi di Parigi.
Per gli studiosi dell’atmosfera in costante cambiamento occorre, inoltre, ridurre gas che alterano il clima. Ad esempio, occorre limitare eccessi di CO2 e metano, per evitare di ritrovarsi, fra poco più di 15 anni, con il mare artico disciolto nei periodi estivi.
Senza più ghiacciai, la vita stessa degli animali, per quanto adattivi, sarebbe destinata a finire.
Pur essendo in alto alla catena alimentare con pochi nemici, anche gli orsi bianchi sono succubi della scelleratezza umana, che sta via via devastando il pianeta. Giocoforza, questo incide sull’emergenza correlata a sostentamento e sopravvivenza primaria del possente animale.
L’Orso Polare: il gigante bianco super fluffy
Per tornare alla storia narrata dal duo Muccino/Accorsi, s’intravede parte del periglioso viaggio per trovare riparo della nostra amica mamma Ursa, con i suoi due cuccioli.
I tre si trovano nel bel mezzo di un mare con zone di ghiaccio minime.
Ursa vive fra i ghiacciai, ma si trova di fronte a uno scenario in cui purtroppo, col surriscaldamento della Terra, essi si stanno consumando. Alla fine, si nota il suo rammarico, quello di ogni mamma che non sa che cosa sarà dei suoi piccoli. Il grido di dolore, digitalizzato, non fa meno eco. (Anzi!)
Nel suo nome scientifico secondo classificazione di Linneo, ovvero Ursus maritimus Phipps (biologo che nel 1774 lo identificò come specie a sé), il termine maritimus indica la caratteristica del suo habitat: marittimo e polare.
Un territorio che è un insieme di terre selvagge e gelide, esteso fra Alaska, Siberia, Canada, Russia, Islanda, finanche Groenlandia e Norvegia.
Il ghiaccio sotto di lei è sempre meno e Ursa, come tante altre mamme con prole, deve spostarsi di continuo e percorrere lunghe distanze, sovente troppo faticose, per trovare spazi e cibo.
La specie di Ursa è quella del più grande mammifero al mondo.
Gli esemplari maschi raggiungono i 3 metri di altezza e i 700 kg di peso, moli quasi doppie rispetto a quelle delle femmine. Ciononostante, sono tutti abilissimi nuotatori e possiedono grande velocità.
La dieta dei nostri cugini bianchissimi è carnivora, composta preminentemente di ursidi (foche, trichechi), pesci, molluschi, piccoli volatili. Non mancano nemmeno le bacche.
Infine, ci sono anche cetacei più grandi come narvali e beluga, la cui caccia è, tuttavia, riservata ai maschi. E, per quanto incredibile, solo il 2% dei tentativi va a buon fine.
Difficilmente gli orsi conducono vite “di famiglia”, e il marito di Ursa, come gli altri maschi, che sono generalmente alfa, non resta a lungo con lei, né con i suoi pargoli.
L’orso bianco e le tribù di caccia
L’orso polare è considerato essenziale per la sussistenza degli abitanti delle zone più ostili del globo.
Numerose sono le leggende ispirate a lui, che è rinominato in lingue locali:
- Per la comunità Inuit è noto come Nanook, (come quello dello struggente romanzo da cui è stato tratto il film “Il mio amico Nanook”),
- Nanuuk per gli Yupik dell’Alaska.
- Nella parte più etrema della Siberia occidentale, in ciukcio, è chiamato umka.
- Alcuni umani della vastissima Russia, lo chiamano anche bélyj medvédj o Oshkuj.
Ma, se prima i nostri candidi amici erano uccisi per pelliccia, grasso e altre attività di caccia delle tribù umane locali, oggi il rischio è rappresentato dalla scarsità di riparo e cibo.
Conseguenze delle temperature sempre più elevate che facilitano la dispersione dell’ambiente dove essi vivono.
Per sensibilizzare il problema, è stato istituita la giornata mondiale dell’orso polare, il 27 febbraio.
Una cattività quasi impossibile
Non è facile per un grande animale del freddo, una volta signore incontrastato e oggi decaduto non per suo demerito, vivere in realtà e ambienti più miti.
E, di questo passo, come il brillante film-maker italiano ha sottolineato, sarà difficilissimo ricollocare questi animali in cattività. Il rischio, come preventivato, è di arrivare solo a ricostruzioni computerizzate del passato.
Considerate che soltanto le loro zampe e il muso emanano un calore percepibile, pertanto ogni luogo non gelido è per loro motivo di grande sofferenza.
A differenza di altra fauna dell’Artide, questi giganti bianchi si surriscaldano a 10°, e non hanno un manto suscettibile al cambiamento di colore: nasce già con la pelliccia, candida e folta.
Potenza di Madre Natura: l’epidermide, esaminata con luce ultravioletta, appare nera. Questo permette un’ulteriore produzione di energia termica, in grado di assorbire le frequenze UV.
Con “Artide” s’intende la grande zona che comprende, convenzionalmente, l’emisfero boreale della Terra circostante il Polo Nord. Non è un continente, come potrebbe definirsi, al contrario, l’Antartide.
Piccola curiosità: l’etimologia della parola Artide deriva dal greco ἀρκτικός (arktikòs), che significa “vicino all’Orsa settentrionale” (allusione alle stelle e all’Orsa Maggiore), e richiama la parola ἄρκτος, ovvero, nemmeno a dirlo, orso.
La difficile vita del plantigrado artico negli Zoo
Nel 2017 ci fu una grossa polemica per lo Zoo di Fasano, Puglia, dove alcuni parenti di Ursa soffrivano enormemente, nonostante le rassicurazioni dello staff brindisino.
O che dire di Arturo, l’orso più triste del mondo?
Forse non lo ricorderete, ma dopo la morte della sua compagna di vita Pelusa, politici e associazioni animaliste si mossero affinché questo maschio fosse spostato dal caldissimo zoo di Mendosa, Argentina.
A nulla valsero gli appelli internazionali: Arturo rimase lì, sofferente, per ben quattro anni di solitudine, in uno spazio inadeguato per la sua stazza, esposto a temperature superiori ai 40°, nella disperazione e nella privazione fino alla sua morte, nel luglio del 2016.
Arturo aveva 29 anni, e mai nella sua vita aveva conosciuto giornate al di fuori da quel misero spazio. Uno spazio arido fuori e avido dentro e tutt’attorno. Uno spazio che lo esponeva, fra migliaia di volti pronti a fotografarsi con lui dietro, ma mai capaci di osservare quell’essere vivente dagli occhi affranti.
Noi, sia io (-Cleo-) che Cora, quella un po’ più bionda, in qualità di orse felici in un’oasi faunistica che ci protegge e ci lascia libere di muoverci, monitorate e libere da recinzioni, non possiamo che indignarci per ciò che accade in Cina.
Come se non fosse bastato quanto avete (abbiamo, per un periodo le guardie zoofile non potevano venire a controllarci e sfamarci) passato con la pandemia (per dire: noi animali facciamo meno storie quando ci devono fare le punturine e i vaccini!), un altro, ennesimo smacco.
Il “Polar Bear Hotel” del parco a tema di Harbin, dove in uno spazio vitale esiguo, gli orsi dal bel manto puro, sono le “attrazioni”. Questa struttura promette sfacciatamente di far mangiare, giocare e dormire con lo sguardo fisso su di loro, grazie all’affaccio delle stanze e del ristorante sulle loro vasche.
Fortunatamente, non sono mancati gli umani e le associazioni per i diritti animali come PETA che si sono scagliate contro questo dissenno. Con forza, hanno gridato alla crudeltà e alla vergogna, trovandosi di fronte ad uno scenario dove i plantigradi, normalmente attivi per circa 18 ore al giorno e percorrenti migliaia di km, sono costretti in una sorta di acquario di piccole dimensioni.
Ma si sa, finché ci sono altri umani che aderiscono e scelgono di frequentare quei luoghi, rischieranno di esistere…
A differenza degli animali stessi. Loro, quelli che sopravviveranno, si troveranno più nervosi, irritabili, delusi. Alcuni, forse –azzardiamo a pensare senza calunniare– calmati con sostanze.
Snaturati, demoralizzati nella loro dignità di esseri senzienti.
Santuari, Oasi faunistiche e bioparchi per lo studio di biodiversità ed ecosistemi
Premesso che anche noi vorremmo vivere liberamente nei nostri habitat, ci pare che il termine cattività lasci un alone negativo sul concetto di preservazione.
Molti santuari, bioparchi si interessano davvero di aiutare, cercando di farci trovare amici, compagni, con l’auspicio di accrescere le nostre famiglie. Altri, come i sovracitati casi, sono intenti solo a speculare, lucrare e maltrattare chi ha avuto la semplice malasorte di essere predato, dal grande predatore che fu.
Tuttavia, in zone più fredde come in Canada (dove si concentra il 60% degli esemplari non in cattività), nonostante l’ondata di caldo anomalo di questa tremenda estate di devastazioni e incendi in molteplici Paesi, il nostro compreso, l’ursus maritimus è presente, benché a rischio, ed è simbolo nazionale, tanto da avere la moneta da due dollari a lui dedicata. Ma ben il 17% di esemplari è caduto, con numeri stimati oggi fra i 16.000 e i 25.000 complessivi.
Se nell’immaginario collettivo gli orsi bianchi hanno molti ruoli protagonisti (ricorderete i lungometraggi “Alaska”, “La Bussola d’Oro” o il docufilm “Arctic Tale” che segue un orsetto e un cucciolo di tricheco).
Una presa di coscienza: agire
Siamo liete di poter vedere che, finalmente, anche in eventi così importanti per voi umani, il cambiamento climatico e le specie a rischio siano argomento di dibattito, discussione, e grande attenzione. «Bisogna agire» è una presa di coscienza concreta, attuale e destinata a crescere, e speriamo manteniate l’impegno nel salvaguardare esseri tanto preziosi e iconici.
Proposte alternative per favorire una connessione fra specie protette e umani: il Tour della Convivenza in Abruzzo
Tornando a noi, Cora e Clara, che siamo grandi amiche, vi informiamo che la nostra specie bruna è tipica e autoctona del Trentino; tuttavia, ve ne sono altre: in America, dove il caratteristico colore grigio ha dato il nome alla sottospecie “grizzly”, (che in alcuni casi è ibridata con quella polare) e in Europa.
In Italia, si trovano anche gli orsi alpini e gli orsi marsicani, dall’indole gentile. Se voleste vederne qualcuno di persona, ora che hanno deciso di tornare a mostrarsi, il WWF offre il percorso a tappe “tour della convivenza” nel Parco della Maiella in Abruzzo).
Un’ultima considerazione: spesso, la coesistenza uomo-animale non è semplice, altre volte regna la paura, così come la voglia di dominare con fini discutibili. (Ehm… no, non alludiamo alla catena alimentare).
Ma, allo stesso modo in cui potete essere nostri nemici, diventando anche nemici della Terra, (sulla quale anche Voi vivete!) potete essere i nostri salvatori.
Rispettiamoci, e, ve lo assicuriamo, il mondo ci ringrazierà!
Prima di salutarvi, vi esortiamo a riascoltare questa strofa tratta da una celebre e bella canzone e rileggerne con attenzione il testo:
Un bel giorno ti accorgi che esisti
Che sei parte del mondo anche tu
Non per tua volontà e ti chiedi chissà
Siamo qui per volere di chi
Poi un raggio di sole ti abbraccia
I tuoi occhi si tingon di blu
E ti basta così, ogni dubbio va via
E i perché non esistono più
È una giostra che va, questa vita che
Gira insieme a noi e non si ferma mai
E ogni vita lo sa che rinascerà
In un fiore che fine non ha(brava, Ivana Spagna)
C’è chi l’ha letta canticchiandola e chi mente… Lo sappiamo, d’altronde: siamo animali, e vi conosciamo!
Zampine,
Cleo e Cora
A cura di Veronica Fino