Una ginestra mediterranea, rigogliosa, dai colori del sole e capace di crescere tra le rocce e terreni impervi. Una diva italiana che vive il presente con lo stesso entusiasmo e la stessa forza con cui ha vissuto una vita piena, difficile, ma sempre gloriosa. Sandra Milo è Venere e Atena, ha in sé l’amore, la saggezza e la forza del combattimento. É una dea madre che ha il magico potere dell’unione e di rendere sul grande schermo il sapore affascinante e misterioso dei sogni.
Incontro la sua voce accogliente e inizio un piccolo viaggio nella sua storia del cinema.
Il “David di Donatello alla carriera” che ha ricevuto nell’ultima edizione del nostro premio nazionale è stato un importante riconoscimento per il suo brillante percorso artistico. Mi piacerebbe, però, inaugurare il nostro incontro pensando al futuro: c’è una tipologia di personaggio che ancora non ha interpretato e che le piacerebbe interpretare?
Mi piacerebbe interpretare una donna forte, come anche io, Sandra Milo, sono stata. Una donna che affronta molte prove ardue, che ha saputo superare problemi e difficoltà, non tanto per qualità eccezionali, ma perché è sorretta e spinta dall’amore, che io credo essere la più grande forza del mondo. Sono tipologie di donne più rare al cinema che nella vita reale. Nell’immaginario maschile viene sempre proposta una donna bella e seducente. La donna che combatte viene sempre un po’ meno rappresentata, ma le sfide quotidiane della vita sono tante. Ecco, io vorrei interpretare una donna così.
Lei è una donna notoriamente caratterizzata da un grande senso di gratitudine e positività verso la vita, capace di vedere il bello in ogni cosa. È questa la chiave del successo e della realizzazione di sé stessi?
Sì, è un fattore determinante perché c’è realmente il bello, dipende molto dalla nostra predisposizione d’animo. Se si è pronti ad accettarlo e a guardare il mondo con occhi autentici, le cose si illuminano. Se noi siamo accecati dalla frustrazione, dallo scoraggiamento e dal vittimismo, allora è difficile scorgere questi lati straordinari che, comunque, ci sono sempre. Il carattere meraviglioso della vita lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Il dolore e l’amore sono le grandi componenti della vita, bisogna accettarle e accoglierle. Il primo atto di un essere umano è il pianto, bisogna lottare per sorridere.
Può esistere un rapporto ideale tra regista e attrice o è sempre, ogni volta, un’interazione da sperimentare?
Ricordo che all’inizio quando facevo cinema, c’erano cineprese molto grandi. Quando c’era un primo piano, il regista era lì accanto alla cinepresa, vicino all’attore e quando recitavo, grazie alla sua vicinanza fisica, sentivo ciò che lui voleva che io esprimessi, i suoi sentimenti. Questa energia arrivava così intensamente che accadeva in quel momento qualcosa di fantastico. Oggi i registi, sono al monitor in un’altra stanza. Quando il volto dell’attore è vicino a quello del regista, può dare tutto sé stesso. Avviene un contatto spirituale talmente vero e forte che scaturisce qualcosa di meraviglioso. É il contatto di due esseri umani, accade se l’attore è pronto all’ascolto e il regista è pronto ad essere la sua guida. É raro che questa magia avvenga, ma quando avviene si crea verità e si riesce ad andare oltre la finzione.
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Una delle atmosfere più affascinanti (e che amo di più) nel cinema italiano è rappresentata dalla scena della casa di Susy, il personaggio che lei ha interpretato nel film “Giulietta degli spiriti” di Federico Fellini. Come ha vissuto il periodo di quelle riprese, quell’atmosfera magica e sospesa?
Eravamo tutte creature speciali in qualche modo, fuori dal comune. Io mi sentivo una creatura speciale. In quel film interpretavo tre personaggi, ma il motivo era sempre lo stesso: l’eterno femminile. É stata una lavorazione sempre molto piacevole perché era tutto fatto con leggerezza. In quel personaggio c’era la grazia, l’amore, la sensualità. Nonostante la stanchezza del lavoro è stato tutto leggero, anche con quel pudore e con quel sottile timore che l’esposizione fosse troppa. Lui (Fellini) aveva molta grazia nella rappresentazione. Avrà notato che nei suoi film nessuno mai si dà un bacio, eppure in quel film, come negli altri, c’è sempre una grande sensualità, aspetto verso cui lui aveva un grande rispetto, nonostante l’istinto trascinante che lo caratterizzava come regista e
come uomo.
E Lei ha incarnato perfettamente nei personaggi dei suoi film questa sottile linea di rappresentazione, creando le atmosfere senza mostrare i fatti…
Sì, perché bisogna sentirle queste cose, bisogna condividerle per riproporle.
Lei ha interpretato più di 60 film, qual è la formula per relazionarsi alla macchina da presa, a questo occhio esterno che ruba la realtà e ne crea un’altra?
Quando sono a teatro, sul palcoscenico, ci sono momenti in cui sento l’anima del pubblico dentro di me, sentendo a mia volta l’anima mia dentro il pubblico. Questo un tempo accadeva anche nel cinema, prima tra regista e attore e poi inevitabilmente tra film e pubblico. A volte dura solo un attimo ma è questa la chiave, la scintilla: creare uno scambio d’anime attraverso il mezzo della macchina da presa.
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Pensando a “8 e mezzo”, un film vincitore di due premi Oscar, e alla rivoluzione di stile che quel film ha segnato, la scena della passerella finale è il simbolo del realismo magico di Fellini e del cinema italiano. Cosa ricorda di quel momento?
Fu un momento faticoso dal punto di vista fisico anche perché ero incinta di cinque mesi, però c’era una tale unione tra i personaggi/attori che anche quel momento fu, a suo modo, emotivamente leggero. Eravamo tutti così diversi l’uno dall’altro e poi così uniti in questa passerella finale che simboleggiava il giro della vita e tutta l’umanità con le sue miserie e le sue grandezze. Lo percepivamo tutti noi attori durante la ripresa. Eravamo il mondo, così forti e così fragili, con la necessità di essere uno vicino all’altro.
Fellini aveva una particolare visione della vita, della morte e dei rapporti umani, attraverso i suoi film è stato in grado di offrirci un nuovo modo di vedere la realtà, lei sente di aver condiviso questa percezione?
Sì e credo che lui l’avesse intuito e anche per questo aveva un rapporto privilegiato con me. Lui, in generale, non si rivelava molto con gli altri e aveva fama di essere tutt’altro rispetto a quello che in realtà era. Era considerato burbero, ma probabilmente si difendeva. Con me, invece, veniva fuori la sua parte incontaminata. C’è stato un amore intensissimo, ma l’intesa primordiale partiva dallo spirito.
Il cinema ha segnato la sua vita. C’è una scena che ricorda con particolare emozione a tal punto da aver voluto fermare il tempo ed aver pensato di rimanere lì per sempre, in quel momento, il quel personaggio?
Forse questo no, ma un momento particolarissimo c’è stato in “8 e mezzo”, in una scena che giravo con Marcello Mastroianni. Lui mi dava una battuta che diceva «fai la faccia da porca». Ricordo il mio grandissimo imbarazzo, non sapevo che fare. Quella battuta, davanti a tutti, mi fece sprofondare in una sensazione di disagio terribile. Non riuscivo a fare nulla, ero come imbavagliata. Ricordo che lui, Fellini, mi affrontò con un tono abbastanza violento. Mi disse che un attore non poteva avere pudori, doveva dare completamente sé stesso al personaggio e non poteva avere riserve. Sentivo come se mi avesse “rovesciato” la pelle, un dolore interiore dilaniante, però poi gli sono stata immensamente grata perché fu una grandissima lezione per me. Mi sono ricordata sempre delle sue parole.
Tornando alla sua domanda: non ho mai sentito di volermi fermare in qualche personaggio, mi piace andare avanti, non sono una donna che si guarda indietro. Lo faccio pochissimo. Il passato non c’è più, quello che conta è il presente. Non mi sono fermata mai. La vita è adesso.
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