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Sciaccaluga: “il teatro deve tornare a fare il teatro” (Pt.2)

Seconda parte dell’intervista con il celebre attore e regista teatrale Sciaccaluga: successi, ritorno in scena, ruolo del teatrante e futuro

"Quando sognavo di fare il tanguero" Carlo Sciaccaluga nel 2014, fotografia di F.Milani Credit: Instagram Official Profile ("Era il 2014 quando l'ho conosciuto", Veronica Fino)

Carlo Sciaccaluga racconta Carlo (e) Sciaccaluga

In esclusiva per il nostro webjournal nell’estate del 2021 realizzai un esteso approfondimento culturale in merito al teatro grazie alla disponibilità di Sciaccaluga.

A fronte dei drammi che ci affliggono più che mai, della guerra che attanaglia e tiene con il fiato sospeso e il cuore in gola molti, se non tutti, noi, riproponiamo la seconda parte della lunga chiacchierata con Carlo Sciaccaluga.

Nonostante sia trascorso quasi un anno da allora, e la riapertura dei teatri sia quasi del tutto a pieno regime, occorre ricordarci l’importanza del teatro, quale istituzione, per la cultura e per la vita dell’uomo contemporaneo

Nella prima parte della mia lunga intervista (che potete trovare qui -n.d.r.-), Sciaccaluga raccontava degli spettacoli più recenti e del rapporto speciale con la sua Genova, della pandemia e dei suoi effetti, nondimeno del forte rapporto di amicizia e lavoro con Davide Livermore, con la Compagnia teatrale Il Demiurgo e, in parte, del grande operato e dell’enorme lascito culturale del celebre padre di Carlo, Marco Sciaccaluga, scomparso proprio nel 2021 dopo una lunga malattia.

La magia del teatro: fra ricordi, mito e ritorni

Un curioso aneddoto riguarda una vacanza in famiglia con papà, mamma e i due allora piccoli Carlo e Giovanni.

Si trovavano in Norvegia, a circa 350 km dal Polo Nord quando si recarono verso un insediamento archeologico risalente a 4200 anni prima. 

Lì, videro il disegno rupestre di una renna. «Lo avrebbe potuto aver dipinto anche Picasso» , asserì il babbo, per la contemporaneità dell’immagine stessa. 

All’epoca fu chiamata una mamma norvegese con i suoi due bimbi a sedersi e narrare episodi della sua vita. 

Il luogo stesso era una sorta di caverna che via via si stringeva come un pantheon dal foro centrale arcaico. Lì, l’acustica e il luogo permisero che la seduta della donna assumesse un tono imponente, quasi sacrale. 

Fu allora che, per sua spiegazione, quel luogo apparve quasi come fosse un teatro. 

Facendo un salto temporale, ci si poteva immaginare, intorno ad un fuoco prima della battuta di caccia, fra racconti e riti apotropaici. Lì, qualcuno, seduto laddove si era seduta la signora, era intento ad intrattenere l’intera tribù. 

Prima ancora che scritta, ricordiamolo, la forma primaria del teatro nasce come tradizione orale.

C’è, difatti, un narratore che racconta e raffigura, di volta in volta, il mito

Dunque, il teatro è luogo protagonista di un salto temporale? 

Nella concezione del semiologo francese Barthes, «il teatro è lo spazio acustico dove risuona la voce dell’uomo», lo spazio è fessura sul mondo dove l’uomo esprime domande sul mondo, in una simultaneità del tempo. 

Marco Sciaccaluga: il teatro come museo dell’anima

L’arcaicità del teatro è un fatto preculturale, che supera acquisizioni, nozioni e conoscenza.

Ogni volta che noi entriamo nello spazio (per analogia utilizziamo il medesimo scelto dal Professore -n.d.r.-) della caverna, è come se noi entrassimo in quella stessa atmosfera immaginifica e primordiale

E questo ci permette di ritrovare una profonda essenza parallela a ciò che è stato e ciò che il teatro, come un museo dell’anima, mantiene ravvivato.

Una cultura cosmopolita che parte dalla Genova del cuore. Carlo Sciaccaluga fra studi e prove

Dopo gli studi classici, Carlo intraprende la complessa, e forse per lui naturale ed essenziale arte teatrale, debuttando in Austria. La sua formazione comprende l’alta scuola di Massimo Mesciulam, Valerio Binasco, Alberto Giusta. 

Oltre al tedesco, parla anche fluentemente inglese, francese e spagnolo. 

Piccola curiosità: adora viaggiare in moto e suonare la chitarra. Indubbiamente, è un ragazzo molto eclettico, oltre che, ça va sans dire, istrionico.

Il teatro come luogo: l’incontro e lo spazio fisico 

D’altronde, la caratteristica itinerante è propria di chiunque faccia teatro. 

E questo richiama molto ciò che accadde già nei tempi più antichi, la ricerca di un oratore e di un ascoltatore. E di uno o più miti da narrare.

Con la tradizione non più solamente scritta (e perfettamente spiegata dall’episodio dell’infanzia di Carlo -n.d.r-), seppure ancora agli albori della nascita del teatro, questo aspetto si fece più vivo grazie al celebre carro dell’attico Θέσπις o Tespi

Tespi e le origini della tragedia 

Personaggio quasi leggendario, prima ancora della cosiddetta triade canonica della grande tragedia del V secolo a.C. composta da Eschilo, Sofocle e Euripide,  introdusse novità fondamentali al nascente teatro.

Fra queste, la “biacca” a coprire i volti, il prologo e la rhésis dei personaggi, e il distaccamento di uno di questi dal resto del coro.

Fu vincitore dei primi agoni tragici alle Grandi Dionisie nel 535 a.C., indette dal tirannò Pisistrato. 

Da allora, il teatro è cambiato costantemente, rinnovandosi, vivendo via via in contesti diversi fra loro:

  • di corte,
  • divertissement per pochi
  • trasposizione irriverente della società,
  • manifesto sociale, e così via.

Ha trovato casa e, senza troppo azzardo di termini, protezione, in spazi teatrali costruiti appositamente:

  • Teatro arena, di stampo classico,
  • il corral de comedias seicentesco spagnolo,
  • elisabettiano
  • il teatro all’italiana, il più famoso

I palchi si sono modulati a seconda della volontà di disporre il pubblico, e non solo. “Il teatro è stato da sempre lo specchio della società, e stava vivendo una stagione di rifioritura. Questo, grazie anche alle tante sperimentazioni e rivisitazioni di drammi sempre attuali (come è, ad esempio, “Antigone” di Sofocle). 

Tornando all’intervista, riprendiamo così:

“Carlo, cosa significa per te il teatro, oggi?”

(A questa mia domanda, sospira un attimo, pensa, la trova “difficile, ma non scriviamolo troppo”. Nonostante questo, poi è un fiume in piena di parole e interessanti spunti di riflessione. -n.d.r-)

«Il teatro oggi rappresenta quello che ha sempre rappresentato. E ciò che credo che per me non penso possa cambiare.»

CS: “Il teatro è «regger lo specchio alla natura», come dice Amleto, o, per citare Oscar Wilde, «la vita imita l’arte più di quanto l’arte imiti la vita»

Teatro come tradizionale specchio della società

Continua così: “Il ruolo del teatro nella società è difficile da inquadrare perché in parte siamo ancora ancorati a quella idea bella e grandiosa di teatro pubblico.

Cioè, come è stato a lungo, luogo di grandi discussioni, grandi temi portati sulla scena, in cui la società vedeva se stessa (ai tempi greci, anche in Italia, nelle grandi visioni di Enrico Chiesa e Paolo Grassi).

Teatro in cui la società riflette su se stessa, anche in maniera molto scomoda”

(Fra un velato imbarazzo che lo contraddistingue quando realizza di dilungarsi e la voglia di condividere la passione per il suo lavoro, che è parte integrante dell’essenza di Sciaccaluga, padre e figlio, gli faccio cenno di continuare senza esitazioni. -n.d.r.)

Il teatro d’arte o d’élite

Sciaccaluga riprende pertanto così: “questa caratteristica negli ultimi 20-30 anni si è andata un po’ perdendo perché ha iniziato ad emergere, a torto o a ragione, un teatro d’arte.

Tendenzialmente si tratta di una forma un po’ élitaria in cui gli artisti lavoravano troppo spesso per loro stesso o per i colleghi o per un pubblico selezionato.

Questo è un teatro che ha una sua natura, quella di sperimentazione, che è necessaria e altresì fondamentale, ma non può essere il gusto prevaricante

Il parallelo con il cinema: la forma popolare

CS: “Per spiegarlo meglio, si può ricorrere al parallelo col cinema.

È chiaro che debba esserci – e cito esempi diversissimi fra di loro- c’è bisogno di Lars Von Trier, ma anche di Spielberg e, anche, delle grandi narrazioni, delle storie meravigliose e accessibili, se non a tutti, a tanti. 

In questo, il teatro è stato un po’ manchevole negli ultimi anni: è mancata un po’ la versione Spielberg del teatro, per così dire.

Adesso però mi accorgo che questo lato sta emergendo di nuovo, e di questo sono molto felice. 

È un po’ una battaglia ancora da combattere, ma ci sono tante compagnie giovani.

E, nondimeno, anche grandi artisti della generazione precedente alla mia che in questo si stanno prodigando, che hanno, anzi, continuato a tenere alta la bandiera del teatro popolare.

Che si deve confonde con il più blasonato, ma rimane prestigioso.

Si tratta di un teatro non ignorante. Una tipologia drammaturgica raffinatissima, e per nulla più facile come erroneamente si tende a pensare.

Anzi, quello popolare è un teatro più difficile da fare, perché se devi parlare e raffrontarti con più persone, invece che a poche, devi stabilire linguaggi non specifici, ma universali.

 Che non sono sempre semplici da trovare.

Quindi, per rispondere alla tua domanda sul ruolo del teatro oggi, è anche una forma di responsabilità

… il teatro deve essere questo e ciò che è sempre stato. Non possiamo venire meno a questa responsabilità, altrimenti si perderebbe il senso stesso.

Il rapporto con i classici: citando Marco Sciaccaluga

VF: “Come in ogni cosa, occorre un equilibrio esercitando un lavoro di cernita e miscellanea, anche un po’ disomogenea, con coraggio, per guadarsi indietro, raffrontarsi con l’oggi e ripensare poi a ciò che sarà. E questo lo si è sempre fatto, in ambito di arte, così come di drammaturgia, quantomeno. Teoricamente, azzardo”

CS: “Assolutamente! Occorre parlare di ciò che succede oggi, anche ripresentando dei grandi classici, non solo attraverso topos e mitologia contemporanea. I classici sono eterni, «i grandi classici ci parlano dal futuro», diceva sempre mio padre. 

L’umanità più o meno si è già confrontata con quasi tutti i temi possibili e immaginabili. 

Si tratta soltanto di capire, imparare a pensare come, ad esempio Eschilo, Molière, o Schiller e capire come mai, nella loro epoca così idealmente lontana hanno scritto quel che hanno scritto e cosa vuol dire traslare quel pensiero oggi.

Questo ci regala anche un senso di conforto perché se ci sentiamo affranti, ma realizziamo che sono temi già vissuti e che abbiamo alle spalle migliaia di anni di cultura in cui grandi menti hanno riflettuto su tematiche simili non ci sentiamo così soli.”

Oltre il (pre)giudizio

VF: “Si necessita un po’ di maggiore apertura mentale, una forma di ampliare le nozioni, fare i conti con ciò che è stato e capire che, per queste ragioni, qualcuno almeno dei topos, delle tematiche fondamentali di uomo e società sono già stati forse vissute, per quanto in modo diverso. 

A volte siamo anche molto coinvolti da una cultura social un po’ scarna di contenuto e proiettata alla lettura sommaria di titoli (non sempre del tutto pertinenti) e delle prime righe.

Per scelta o condizionamenti esterni siamo sempre di fretta, talvolta non riflettiamo apertamente su ciò che ci viene proposto, ci lasciamo un po’ travolgere involontariamente.

Perché pensare alle cose scomode, meno egoiste forse, fa anche paura.

Ci si limita giocoforza a ciò che viene dato per scontato, concreto, senza raffronti con l’altrui vissuto, anche se lontano storicamente. 

Re-immergersi nei classici è un’ottima cura perché permette di analizzare le questioni di individuo in una società…”

CS: “Sì, soprattutto in vista del periodo storico che stiamo vivendo, con un evento che rimarrà a lungo nei libri di storia, e non solo: è una fase in cui la società riesce ad articolare un rapporto molto critico su se stessa, a volte rivoluzionario, altre provocatorio.

Non è un caso se emergono sempre più questione dei diritti civili, delle minoranze, e la questione femminile che stanno venendo fuori anche con violenza, quasi.”

Dal grande potere di chi fa teatro derivano le grandi responsabilità verso la società

“Queste situazioni sociali vanno a intaccare persino la sfera del linguaggio, e ci si chiede se sia giusto usare alcuni termini o no. 

Talvolta non si tratta nemmeno del tutto di domande nuove, ma nuovo è il modo di porle, urlarle quasi, in tutto il mondo occidentale. 

Chi fa arte, teatro in particolare, non può sottrarsi a questa responsabilità di, come dici tu stessa, offrire alle persone di andare oltre alla lettura di un articolo di tre minuti su internet o un video ad effetto di un istante.  

Ci sono dei germi molto positivi nella società che vanno continuamente messi in discussione per capire la strada che si intraprende, e, di rimando, anche confrontarsi col passato: capire i motivi per i quali un avvenimento è intercorso. Capendo anche chi siamo e stiamo diventando

L’importanza di contesti e l’opposizione alla cancel culture

VF: “Contestualizzare è ciò che manca molto oggi, si utilizzano paragoni fra ciò che avviene, termini utilizzati o comportamenti e tradizioni ataviche che, per quanto non giustificate, hanno avuto un loro tempo specifico, portando alla ricerca di estremizzazione della cancellazione. 

Questa cultura, a mio parere, è pericolosa, sia che si guardi ad un’opera storica, letteraria o di folclore.

La motivazione è semplice: se siamo giunti alle doverose questioni etiche contemporanee, è anche per tutto il nostro percorso di storia dell’umanità.

L’esempio di Antigone e Casa di Bambola: il valore del contesto socio-culturale e storico

Rapportarci con una situazione come, ad esempio Antigone oggi, fa emergere una cultura diversa,  in cui risalta, da una parte, l’eroina nonché antesignana di una ribellione all’ingiustizia.

Dall’altra parte, ci sono quelle che chiamo correnti di pensiero twitteriane, che condannano una giovane donna come una sorta di schiavitù nei confronti della tradizione religiosa.

Naturalmente si commette così un grande errore, in quanto non c’è alla base la conoscenza sufficiente della cultura non solo patriarcale, ma in particolare sacra delle sepolture antica. 

Eppure, Antigone ha una forma stessa di opposizione e resilienza, che oggi ci chiediamo in quante altre persone vedremmo.

Non a caso, sono queste sue due peculiarità a rappresentare la forza, la sfortuna e l’enormità del personaggio Sofocle stesso.

Allo stesso modo, potremmo prendere l’esempio di Nora (“Casa di Bambola” di Ibsen -n.d.r.-): una donna capace di sdoganarsi della sua prigione dorata.

Che, in qualche modo, all’inizio dell’opera alcune teorie patriarcali la condannano per aver sopportato una vita così effimera prima.

Ma c’è molta ipocrisia in questa visione perché, nonostante tutto, fa la sua scelta definitiva, abbandonando il nido.

Ovviamente è chiaro il riferimento alla cara piccola allodoletta canterina con cui il marito la definiva, simbolicamente. 

Il dramma oltre e all’interno dell’isolamento

Se ci pensiamo però, ci sono ancora molte donne che vivono in situazioni così di facciata, prigioni psicologiche, che a volte persino giudichiamo, per induzione errata e retrograda.

Non utilizziamo un parametro di raffronto obiettivo sulle cose. Né sul passato e sulle storie già raccontate e, teoricamente, di stimolo per uscirne. 

Allo stesso modo, ci troviamo in realtà assurde in cui i commenti asseriscono che viviamo in una dittatura sanitaria, e questo, esulando dal contesto lavorativo, è estremamente discutibile.

Non fa i conti, oggettivamente, con quanto ciò sia grave e irrispettoso verso chi, la dittatura, l’ha subita.

La cosa peggiore è che ancora ci sia il timore di denunciare, per coloro che vivono nella solitudine delle loro pericolose mura domestiche.

Mai come in questi anni di pandemia e isolamento. Che, per opposto, ha fatto emergere ulteriormente una forma di individualismo senza precedenti per altri versi, vedi le posizioni al limite del ridicolo, oltre il lecito dubbio iniziale, sui vaccini.”

Sciaccaluga: occorre dare il giusto peso alle parole e badare all’uso che se ne fa

CS: “Purtroppo si. Un’oscillazione fra drammi famigliari di persone che hanno perso i propri cari, chi ha avuto a che fare con violenze domestiche accentuate e poi negligenza e disinformazione, appunto. 

In aggiunta, anche la scelta di non vaccinarsi rappresenta l’egoismo e la scelleratezza di non mettere in conto ciò a cui si potrebbe andare incontro e la fortuna di non avere ripercussioni.

Senza considerare la categoria di persone fragili e anziane andate perdute nel tempo e nel tempo della loro solitudine. 

Inoltre, purtroppo, tornando al discorso di regime totalitario, molte di quelle persone, memorie viventi o storie o parti di storia in itinere come hai detto tu (mi piace come visione!) non ci sono più, perciò perdiamo molto il ricordo.

Con grande rammarico, anche in riferimento a chi solo trent’anni fa faceva i conti con il dramma della dittatura comunista, e ancora in qualche modo la subisce”

(off topic: chissà come commenteremmo oggi -2022- questo, alla luce della drammatica situazione fra Ucraina e Russia, in qualche modo mai fino in fondo pensata appieno. Ma dal 2020 non abbiamo che mancanza di certezze, perciò sembra si tratti ogni dì di una sceneggiatura crudele in cui rimangono solo finali auspicabili per il meglio… ndr.). 

VF: “Qual è l’esperienza che fino ad ora è l’esperienza che definiresti più bella, che ti ha colpito tale da percepire le cose in maniera diversa. O che ti ha aperto ulteriormente la vista sul mondo, o, meglio, la vista sul mondo?”

CS: “Bella domanda, fammi pensare…”

(lo si nota qui, io lo ritrovo, almeno, Carlo, un po’ in buffa e bonaria difficoltà. -n.d.r.-

Siamo tutte delle strane monadi

VF: “Quindi, potremmo asserire che siamo siamo memorie viventi, storie o parti di storia in itinere?”

CS: “Intanto ribadisco ciò che un pochino ti ho già detto prima, e un po’ mi allaccio a ciò che stavi dicendo tu. Viviamo in un’epoca in cui ci sono alcune spinte che si possono chiamare culturali che, purtroppo tali sono, anche se è una cultura dettata dalla tecnologia. 

Queste ci portano a cullarci nell’illusione che si possa vivere da soli, che ognuno di noi possa bastare a se stesso.

Siamo tutte delle strane monadi. 

Tuttavia ciò non può valere per il teatro, perché è esattamente il contrario di questo. 

Esso vive della presenza e non può avvenire senza la collettività. Non è solo luogo della riflessione della collettività.”

Il teatro è collettività 

CS: “Anche nel momento in cui ci sono anche solamente un attore e uno spettatore: già di per sé si è in un luogo di incontro. Non solo, è un luogo di incontro con ciò che non ci si conosce

Ci si insegna, gli uni con gli altri, a pensare con la testa dell’altro.”

Sciaccaluga e gli esempi di Todorov e Bloom: tutto avviene in una relazione

“Come diceva Todorov, «il mondo sono gli altri e non possiamo essere testimoni di noi stessi»

Harold Bloom parlava del paradosso dell’egoista assoluto: l’egoista assoluto forse esiste, ma se esiste non possiamo saperlo in quanto non c’è nessuno che testimoni la sua esistenza. 

Questo significa tuttavia che nessuno di noi è un egoista assoluto. Mai.

Ciò si spiega perché ognuno di noi ha bisogno di qualcuno che ci guardi vivere.

Non per narcisismo, bensì per capire chi siamo e perché ciò che avviene, nel mondo, fra ambiente e esseri umani, fra io e l’altro, lo fa all’interno di una relazione.”

Teatro e condivisione

In un’epoca come questa, quindi, il teatro ha qualcosa di meravigliosamente e anticamente rivoluzionario! Condividere lo stesso spazio fisico con altri esseri umani è una cosa che abbiamo sempre dato per scontato, ma abbiamo visto che non è più così. 

Ci rendiamo conto di quanto ciò ci possa emozionare, e tornando a ciò che dicevo prima, spero che cambi un po’ la qualità del pubblico, nonché la sua coscienza di capire cosa significhi stare insieme a degli altri esseri umani.”

Sciaccaluga: per una coscienza del pubblico. Cogliere l’essenza dello stare insieme

“Stare insieme all’altro è capire che quell’altro non sono io, non è un videogioco che si può rigiocare 100 volte finché le cose non vanno come voglio. 

Nondimeno, non è un orto chiuso, dove i social network in cui il mondo mi viene presentato più p meno la pensano e vivono come me, perché gli algoritmi a quello ci portano”

Ribadisce ulteriormente Sciaccaluga:

il teatro è un luogo di incontro e anche di scontro, anche feroce a volte; possono vedersi cose che piacciono e cose che non piacciono.

 A teatro ci sono cose, situazioni che emozionano ed emozionano fisicamente. Nondimeno, emozionano lo stomaco, non soltanto la testa.

VF: “Certamente, sono emozioni che smuovono profondamente se le si inizia ad ascoltare e vivere.”

Sciaccaluga: una famiglia stretta attorno al papà. La cura della fisicità verso l’altro 

(Unico riferimento ulteriore, che inserisco su suggerimento di Sciaccaluga, al padre e alla vita che si spegne, percepita come figlio, nella sua toccante percezione. n.d.r.)

CS: “Quest’esperienza per me è stata fortissima, e per me ancora più intensa perché l’ho passata, almeno negli ultimi mesi, insieme alla mia famiglia, attraverso la cura quotidiana di nostro padre, malato terminale. 

E quella è un’esperienza tutta fisica. 

Dal punto di vista intellettuale, non ho capito niente di più in merito alla morte di quanto già non sapessi o supponessi attraverso libri, racconti… 

Però il mio corpo ha capito delle cose nuove perché quando ti rendi conto che siamo fatti di carne, e la malattia si impossessa di quel meraviglioso corpo, che è poi sempre percepito come indistruttibile, come quello di un genitore, che devi curare, spostare, toccare, massaggiare, sentire e odorare si cambia. 

Questa esperienza, almeno, ha cambiato me, o, per meglio dire, ha approfondito la mia visione del mondo. 

Sulla non indistruttibilità del corpo 

Non c’è scampo, se le cose non le capiamo con il corpo, non capiamo niente

(Fatico a contenere l’emotività, è una sensazione di consapevole e altrettanto composto dolore che condivide e arriva, nel mio di corpo, nello stomaco che si contorce e a stento trattengo un involontario magone.

Provo a ricompormi, ma la voce si fa flebile, rotta in certi punti. -N.d.r.-

VF: “Se non le sentiamo, facciamo grande fatica ogni volta. Di nuovo, torna prepotentemente il valore dei gesti spontanei, degli abbracci in particolare.

Non a caso, in un abbraccio, mentre si tace, si dice tutto, e forse assume un’intensità maggiore rispetto a tante parole, talvolta tanti “come va?” disinteressati o un po’ superflui in alcune occasioni. 

Basta quello per sentirsi a casa con l’altro, nello specifico dopo tanto tempo… 

Però, Carlo, dimmelo sinceramente: questa parte riguardante il tuo papà, vuoi che la scriva?”

CS: “Si, scrivila! Io dico sempre che sarebbe un insulto alla memoria della sua intelligenza e alla sua vastità della comprensione  del mondo non raccontare il fatto che sia una vita finita anche con dolore, malattia e sofferenza poiché fanno parte dell’esistenza. E bisogna sempre raccontarla.

Altrimenti sterilizziamo la sofferenza, isoliamo la malattia

E malattia, dolore e corpo fanno parte della nostra vita, finché continuiamo a confinarle in un luogo sicuro, non va bene”

VF: “Da fragile, posso solo ringraziarti di aver condiviso con me queste corde dolorose e tante altre cose così profondamente tue…”

Sciaccaluga ieri e oggi: l’intervista più bella

CS: “No, grazie a te, invece, perché è l’intervista più bella che mi abbiano mai fatto.”

(Momento tenerezza ed emotività malcelate. -N.d.r.-)

VF: “Questo però lo reputo un vanto personale (-e non me ne vogliano i colleghi e le colleghe! N.d.r.). Con grande piacere. E se non fosse stato per i social non ci saremmo mai conosciuti! Ogni tanto servono dai. Vedi il brutto di isolarsi dai social?!”

CS: “Ci pensavo stamattina in effetti. E rientra nelle cose belle, nelle potenzialità di uno strumento che può, come nel nostro caso, rivelarsi prezioso”

VF: “Per me resta un enorme piacere averti conosciuto un po’ più rispetto a ciò che si può leggere, non tanto conoscere Carlo Sciaccaluga, ma “Carlo”. 

(Umile fino al midollo, asserisce con un modesto “si, anche perché non è che io sia…”, che interrompo ilarmente. -N.d.r.-)

Tornando a noi, quanto è cambiato Carlo Sciaccaluga, e quanto è cambiato, invece, quel Carlo, se sono cambiati, o solo in parte?”

CS: “Rispetto a qualche anno fa? Dal punto di vista professionale, ero un pochino più incosciente, molto ambizioso.

Tuttora questo è un aspetto che mi appartiene, ma lo sono in maniera meno febbrile: crescendo ci si rende anche conto dei propri limiti, come artista, e anche delle proprie capacità, ci si specializza un po’.”

Sciaccaluga: «lavoro per il pubblico attraverso l’onestà»

“Sono anche molto più tranquillo. Pur vivendo però in un ambiente dove si è legati al risultato, anzi, legati al gradimento del pubblico, non ne faccio mai un’ossessione.

Quantomeno tento di non pensarci, poiché so che sto lavorando per gli altri, e non per me. 

Cioè, se fallisco, può accadere, ma cercherò di fallire onestamente. E questo mi rasserena, in una certa maniera.”

Sciaccaluga, la voglia di mettere radici e l’orgoglio per il fratello Giovanni e la sorella Caterina

“Dal punto di vista personale, i cambiamenti ci sono stati, ovviamente. 

E nonostante la mia voglia di vagare per il mondo, sento che si avvicina progressivamente un po’ la voglia di fare un nido da qualche parte.

Del resto a trentaquattro anni, purché ancora giovane (lo sottolinea sorridendo n.d.r.), ma non più un bambino. Ed è altrettanto chiaro che gli ultimi mesi cambino tutto, perché quando i genitori non ci sono più per niente, cambiano le prospettive

Essendo noi rimasti in tre con la meravigliosa compagna di mio padre degli ultimi anni, sono cambiate le priorità, in un certo senso. 

Sono molto orgoglioso e felice di avere al mio fianco dei fratelli che sono proprio in gamba.

Mio fratello, un po’ più ovvio che lo sia, però anche mia sorella, nonostante sia così giovane, è veramente una donna piena di risorse. 

Spero di continuare a cambiare in futuro, tenendomi alla larga dall’autoreferenzialità… a volte si rischia di essere narcisisti anche senza volerlo”

VF: “Su questo ho dei seri dubbi, perché i tuoi occhi esprimono tutto, e non sono cambiati nel tempo, hai sempre uno sguardo sfuggente, timido, anche se per lavoro sei portato di tuo a celare parte di te. O così credo”

CS: “Può darsi, ma credo invece che fondamentalmente sia timidezza. Poi le parole le faccio uscire, mi hanno disegnato un po’ così, con una natura un po’ guardinga.”

E di parole, per grande fortuna, ce ne ha regalate tante, e tanto preziose. 

L’intervista si è conclusa con un arrivederci fiducioso nel futuro, con la consapevolezza che seguiranno novità e «cose belle». 

Il ritorno del Fiesco

A tal proposito, Carlo Sciaccaluga (update!! n.d.r.) tornerà a dirigere il “Fiesco”, nella sua Genova.
Questa volta presso il Parco dell’Acquasola, dal 2 al 14 giugno, nuovamente per il progetto del Teatro Nazionale del capoluogo ligure

Siete pronti ad assistervi?

Carlo ed io: il tempo che risuona come eco di tintinni natalizi e rinsalda l’amicizia

Sciaccaluga è tanto grande e minuzioso, coinvolgente ed egualmente coinvolto nel suo lavoro, quanto schivo e riservato nella sfera personale. 

Un talentoso uomo di teatro con più maschere indossate nel suo mondo fittiziamente vero.

Che, tuttavia, quando si coglie la chiave per vedere ciò che le oltrepassa, permettono di cogliere la sua natura giocosa, gentile, introversa.

Talvolta persino sfuggente. A tratti buffa e suscettibile all’emotività che cela, a volte con timido impaccio nello sguardo.

Carlo, che prende il nome del nonno, lo si rivede nei suoi personaggi: da quelli diretti, recitati, fino a quelli rappresentati. Con l’eleganza di chi è capace di scorgervi l’ossimoro caratterizzante il guascone dei tempi recenti. 

Scrivere di teatro, inevitabilmente del “babbo” Sciaccaluga, di Carlo Sciaccaluga, e di Carlo, è un percorso fra passato, presente e futuro, in un’ottica in cui s’intrecciano un padre unico, il suo commosso ricordo, un personaggio noto, quello con il cognome, e quello che per me rimane, teneramente, fieramente, semplicemente, Carlo.

E io? La Vero-mpina milanese

Quel semplice Carlo di quegli stessi biglietti tuttora inseriti come segnalibri nella mia edizione bilingue del Cyrano, nella mia libreria.

E dei ricordi vividi, come campanelli natalizi: ogni volta che si appendono all’albero, risuonano, e riecheggiano, leggiadri come i pensieri. 

 

A cura di Veronica Fino

Redazione

Scritto da Redazione

La redazione di VanityClass.

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