Siniša Mihajlović e l’amore per i bambini: la storia di un campione che supera il tempo e permane nel ricordo
Siniša Mihajlović è stato un grandissimo giocatore di calcio e un famoso allenatore.
Uno dei piedi sinistri più forti che il nostro calcio, il bel calcio con le punizioni perfette, quasi magiche, ricordi.
Nato nella devastata ex terra jugoslava di Tito, nella piccola cittadina serba di Vukovar il 20 febbraio 1969, è spirato a Roma 16 dicembre 2022 dopo una difficile lotta contro la leucemia mieloide acuta.
Ma di lui, di quel Miha con il numero 11 stampato sulla maglia, ovvero del lato da campione sportivo, non ci soffermeremo molto.
Il suo nome, così come le sue vittorie sono già leggenda
E sono tante le leggende del calcio che hanno indossato la maglia Siniša 11. Come Del Piero, Cafu, Roberto Carlos, Seedorf, in un torneo esibizione a Doha.
Precisamente in Qatar, dove da pochissimo si è concluso il mondiale più discusso in barba ai diritti umani che ha conclamato Lionel Messi e la sua Argentina campioni assoluti. Fra indagini per il cosiddetto Qatargate in corso.
Quelli con la maglia “Siniša 11” sono giocatori che hanno fatto la storia del calcio, e in quella stessa storia non poteva mancare un elogio a “Miha”. Non senza un dolore nel petto per l’ex rivale, amico, compagno, calciatore, sempre di valore.
Troppe parole sono già state scritte e doverosissime lodi tessute, con un personale e felice ricordo del suo arrivo nella mia squadra del cuore, l’Inter.
Da giocatore a vice-allenatore, con l’amico di sempre: Roberto Mancini
Vi giunse a 35 anni perché, lo sapeva, e sapeva che sarebbe stato di parola, era “qui per giocare e per vincere. Ho ancora qualcosa dentro e posso darlo all’Inter”.
Due stagioni, uno Scudetto, due Coppe Italia dopo, divenne vice-allenatore dell’amico fraterno Roberto Mancini. Che attualmente è in enorme stato di apprensione per l’altro grande amico, anch’egli malato di cancro, Gianluca Vialli.
Il calcio per Siniša è stata una finestra da dove guardare il mondo con gli occhi di chi si è costruito da solo, ha allargato gli orizzonti dei suoi sogni, ma sapendo mantenere la capacità –rara– di sentirsi un privilegiato.
La più grande fortuna di Siniša: la famiglia
Da quella di origine, mista, con madre croata e papà serbo, a quella, meravigliosa, creata con l’amore della sua vita, Arianna, che gli ha regalato 5 figli e una nipotina, Violante. Oltre a loro, c’è un primogenito avuto prima di incontrare la moglie, Marko.
In un’intervista per celebrare i suoi 50 anni, poco prima della notizia della malattia, Mihalovic raccontò che aveva pregato il padre di seguirlo a Roma per viverci, ma questi decise con coraggio di restare nella sua terra natia, diventata simbolo della guerra jugoslava.
Fu lì, infatti, che morì, mentre il figlio era lontano.
“Quando si tratta di sogni, non penso a sollevare la Champions League o lo scudetto da allenatore. Il mio è un sogno impossibile: riabbracciare mio padre…”
Nella stessa intervista disse anche di non avere rimpianti.
“Perché non esistono vite perfette. E sarebbero pure noiose. Se oggi sono quello che sono è anche grazie a qualche errore. Ho vissuto questi 50 anni come volevo io”
Forse, la sola eccezione è la grande tristezza per un figlio perso nel 2018.
Gli altri, amatissimi, sono: Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan, Nikolas e, come già citato, Marko
Non parlano molto il serbo, e la nonna non conosce l’italiano, ma quando si riuniscono l’amore permette di capirsi, come linguaggio universale.
Siniša è un burbero solo a vedersi, perché si emoziona enormemente a parlare di loro.
Rappresentano, con mamma Arianna, il suo orgoglio e il suo inno alla felicità. (curiosità: Dusan è grande sostenitore di Bulli Stop)
Bambini e ragazzi, dunque, come punto fermo di un uomo ritenuto dai più un personaggio “a strati contrapposti: duro, ma in fondo generoso; umano, poi strafottente, che ha diviso pure da malato perché non era nella sua natura mediare, compiacere”.
Una persona forte, come Siniša stesso si definiva, cresciuto sotto il generale Tito, temprato da due guerre, e indurito dall’orgoglio della sua Serbia.
Un uomo capace di ammettere di piangere e raccontare in conferenza stampa ufficiale (era il 2019) di essere affetto da una forma di leucemia, ma di volerla affrontare andando all’attacco vincendo la sfida.
Come solo i veri campioni sanno fare.
E Siniša, la prima delle sfide l’aveva vinta davvero. sembrava che la malattia fosse sparita. Purtroppo, solo di recente, è ricomparsa, beffarda e “coraggiosa” per sfidare uno come lui.
L’incontro e il ricordo di Mirko
Dopo la conferenza stampa del 2019, Mihalovic, calciatore possente con gli occhi grandi di un bambino ancora bramoso di vita divenne per tutti Siniša: circondato da un amore di persone comuni che forse mai avrebbe immaginato.
Eppure, cercò di leggere e addirittura rispondere a tutti i migliaia di messaggi giunti per augurare lui una pronta guarigione.
Fra questi, c’era anche la lettera di Mirko, che all’epoca aveva solo 10 anni, ed era anch’egli affetto da leucemia nello stesso momento dell’allora allenatore del Bologna Siniša Mihajlovic.
«Sono Mirko, un bimbo di 10 anni con una grande qualità: il coraggio. Fino ad ottobre 2018 ero un bambino normalissimo, che giocava, andava scuola e tifava Parma. Poi il 21 ottobre fui ricoverato in ospedale, avevo la leucemia. Io non sapevo cosa fosse, ma con il tempo ho imparato a conoscere questa maledetta malattia.
Potevo scegliere due modi per affrontarla: piangere tutto il giorno e lamentarmi sempre o farmi coraggio e andare avanti. Decisi di farmi coraggio e di andare avanti.
[…] Ti ho visto particolarmente triste, nessuno più di me può capire le tue paure, perché anche se ho dieci anni la paura è uguale per tutti. Non mollare, fai uscire tante lacrime e fai tutto quello che c’è da fare, perché si guarisce in fretta. E magari un giorno ci incontreremo in campo».
Da quella lettera, scritta di getto da un bambino divenuto grande come un leone, è nato uno scambio di video con il Mister, che diventava un amico, un sostegno al quale aggrapparsi per capire il simbolo di forza nelle lacrime.
Due anni dopo, grazie all’intervento delle Iene, Siniša accettò felice di incontrare Mirko, evento che difficilmente dimenticherà.
È il 15 dicembre 2020, quando durante il raduno bolognese di Casteldebole, i due possono finalmente abbracciarsi. Mihalovic ha per il bimbo parole di stima e commozione: “Sei stato forte, perché non è facile passare quella malattia, anche io ho pianto”.
Mirko ha la spontaneità di un bimbo, ma negli occhi la forza ferina e fiera di un leone. Un eroe per il Mister, che non ha mai amato questa definizione. Ma che per lui ha fatto un’eccezione, come piangere di fronte alla sua lettera, carica di speranza, voce, vita.
Inoltre, dopo gli allenamenti gli regala la maglia numero 10 del Bologna. L’occasione fu grande per l’appello per la donazione degli organi, “la cosa più bella che esiste, perché salvi una vita” secondo Siniša, e per incentivare i bambini affetti dalla malattia a non mollare per Mirko.
Questa straordinaria amicizia si riflette nelle parole dell’altra lettera scritta dal ragazzino per il suo Mister Siniša, dove traspare tutto l’affetto insieme alla gratitudine e al triste senso di impotenza nel momento in cui si resta, quando l’altro se ne va per sempre.
«Ripenso a quanto sono stato fortunato e mi rammarico di non aver potuto dare a te anche solo un pizzico della mia fortuna. Provo a pensare a tutti i tuoi sacrifici, alle sofferenze e a tutti i momenti brutti che hai passato. Una persona che non l’ha vissuto non può capire. Non lo può neanche immaginare.
Voglio starti vicino, mi metto la maglia che mi hai regalato nel giorno del nostro incontro.
Ecco, ora ti posso vedere, ti posso abbracciare, ti posso parlare. Tu non mi puoi rispondere, ma fa niente. Mi va bene lo stesso, so che in fondo lo stai facendo.
Non voglio dirti tante parole, ti voglio solo ringraziare per tutto quello che ci hai insegnato.
Ci hai insegnato a lottare, a non mollare, ad affrontare tutto a testa alta. Mille grazie non bastano Siniša, ma io te li devo tutti. Fai buon viaggio, Mister».
Una lettera che ha tutto il valore del ricordo, della gratitudine e della spontaneità nonché bellezza degli affetti nati in circostanze drammatiche, che profumano di un vero ed essenziale “per sempre”.
Un cuore per Nikolina Radunović
Un’altra fra le #storiedicuore che contraddistingue la grandezza di Siniša è quella di Nikolina Radunović.
21 anni fa, quando era solo una bambina, i genitori lanciarono un appello per lei: era affetta da un difetto cardiaco complesso, fino ad allora stato riscontrato raramente dalla medicina.
Nikolina e la famiglia vivevano allora a Podgorica, mentre Mihalovic era già uno dei più famosi calciatori della Lazio.
Venuto per caso a conoscenza dell’appello disperato, Siniša Mihalovic decise di aiutare la famiglia, facendo portare la bambina in Italia affinché potessero operarla.
Il calciatore coinvolse allora i compagni dell’intera squadra per sostenere le spese dell’intervento.
Fu Siniša ad accollarsi la maggior parte dei costi, mentre il resto fu coperto dai calciatori laziali. L’operazione di Nikolina andò benissimo, tanto che, come lei stessa disse nel tempo, tornò alla vita.
Una vita di cui Mihalovic fece sempre parte, scrivendole spesso, mantenendo vivo di affetto e ammirazione reciproca quel cuore che lui stesso aveva contribuito a salvare.
Nikolina, scoperta la morte del suo salvatore, ha scritto parole cariche di dolore per la sua perdita:
“Il mio Siniša? Siniša, la cui foto occupa la schermata del mio telefono?
Quel Siniša, Mihajlovic uomo generoso, patriota, calciatore, padre, marito e nobile sotto ogni aspetto. 19 anni fa, hai reso possibile la mia vita.
Mi hai reso possibile essere quello che sono ora, vivere la vita che vivo, percorrere i sentieri su cui cammino, sentire, volere, amare. Vorrei poterti aiutare come tu hai aiutato me”
Mihalovic uomo vero, sergente di ferro dal cuore enorme, e Arianna, la “moglie-roccia”
Il carattere di Mihalovic era molto particolare.
Chi lo ha conosciuto, parla di lui come un uomo vero, genuino, spigoloso, anche controverso.
Mai accondiscendente, aveva un grande senso di onore, famiglia e amicizia; con lui, ogni discussione o ragionamento era sempre a trecentosessanta gradi.
Non sono uno che si arrende. È importante credere in se stessi, essere tenaci, disciplinati e intelligenti. La cosa più importante è la volontà. Bisogna costantemente mettersi alla prova. Ho un carattere forte. Sono un serbo dalla testa ai piedi, con tutte le virtù e i difetti del mio orgoglioso popolo. Ma so ammettere gli errori e chiedere scusa, e sono sempre pronto al dialogo. Mi si definisce un uomo duro, è vero.
Ed è meglio che non mi provochino. Ma anche una persona incazzosa come me sa commuoversi: mi succede quando penso alle persone che ho amato, che non ci sono più, o quando penso alle mie figlie quando sono lontane.
E il giorno che ho annunciato la mia malattia, mi sono sentito più forte, quel giorno ero più umano che mai nella mia vita..
Ma quando Siniša si raccontava a ruota libera emergeva forte una nostalgia per l’infanzia, nel ricordo del profumo delle ciambelle della mamma che arrivava dalla cucina.
Nelle chiacchierate emergeva un grande attaccamento ai valori della vita, dell’amicizia, e naturalmente dell’amore. Per la propria terra, così lontana e sventata, e per la donna della sua vita.
Amore che lo legò indissolubilmente alla moglie Arianna Rapaccioni, ex soubrette, dal 1996.
Un primo matrimonio civile in Italia, poi, nel 2005 celebrarono un rito ortodosso.
Sugli inviti delle nozze scrissero di non volere regali, ma qualora gli invitati avessero voluto donare qualcosa agli sposi, avrebbero dovuto devolvere un contribuito a Dečje Selo, villaggio per bambini orfani a Sremska Kamenica.
Siniša Ambasciatore Unicef e i suoi orfani di Sremska Kamenica
Siniša, sempre consapevole del privilegio toccatogli in qualità di calciatore, restò legatissimo alle tragiche vicende della guerra in Jugoslavia e alle sue drammatiche ripercussioni.
Già nel 1999 si impegnò per organizzare la partita benefica “Diamo un calcio alla guerra” a favore del popolo jugoslavo con i colleghi calciatori serbi: Stankovic (Lazio), Kristic (Salernitana), Petkovic (Venezia), Sakic (Sampdoria), Zivkovic (Sampdoria), Jovicic (Sampdoria), Jugovic (Inter).
Durante la manifestazioni furono trasmesse immagini e video della Jugoslavia del dopoguerra e dell’embargo. Il ricavato sostenne il progetto di aiuti umanitari per i profughi dal Kosovo.
Tuttavia, ciò che sorprende maggiormente del giocatore dalle tre vite (l’ultima dopo il trapianto di midollo), non è che divenne con merito Ambasciatore Unicef, ma che adottò, senza troppe parole, ma con fatti concreti, i numerosi bambini di Dečje Selo, nella cittadina di Sremska Kamenica, nella sua Serbia. Lo stesso villaggio ai quali indirizzò le donazioni delle nozze.
Le loro parole, quando la notizia del peggioramento del loro grande è giunta, sono state di invito e accoglienza, come se quel posto felice potesse guarire non solo l’anima, ma anche il fisico provato dell’atleta.
“Caro Siniša, in questo momento, forse il più importante della tua vita, ricevi e prendi i il nostro amore che ti diamo con tutto il nostro cuore di bambini. Se vuoi, vieni al nostro Villaggio dei Bambini di Sremska Kamenica, per sentire il nostro affetto che vorremmo ti potesse aiutare, come tu hai sempre aiutato noi. Vogliamo che tu vada avanti,che combatti e vinci! I tuoi bambini del Decie Selo”.
Il cuore enorme di Siniša, la sua vocazione altruista senza fronzoli, sono racchiuse in due punti chiave dei suoi racconti:
- l’albero di banane
“Da bambino amavo le banane, ma non avevamo soldi. La mamma ne comprò una da dividerla con mio fratello. Allora le dissi: quando diventerò ricco, mi comprerò un camion carico di banane e me le mangerò tutte io. Scelgo il meglio nei ristoranti, bevo vini pregiati, ma niente potrà mai battere il sapore di quella banana. Forse è per questo che ai miei genitori non manca niente.
La ricchezza che spero di lasciare ai miei figli non è economica, ma valori e insegnamenti, onestà, lealtà, sacrificio.” E aggiunge che “non basta il cognome per i miei figli, dovranno sudare”
- il tema della solidarietà: partendo dagli gli orfani del villaggio, spesso portati in vacanza con la sua famiglia. “Aiuto dove posso e chiunque posso, ma non mi piace parlarne. Non vale la pena. Una persona o capisce e lo fa da sola o non si rende mai conto di poter dare parte dei suoi soldi a qualcuno e aiutare [..]”
Risolutezza, pragmatismo anche nel fare del bene, in sintesi.
Il Torneo Amici dei Bambini di Ai.Bi.
Sono indubbiamente tanti gli eventi che Siniša ha visto in questi anni, ma vogliamo raccontare quella risalente al 2015.
In occasione dell’undicesimo Torneo di calcio Amici dei Bambini, rganizzato dall’associazione sportiva dilettantistica U.S. Aldini, in collaborazione con Ai.Bi., gli fu conferito, assieme con il presidente della Sampdoria Massimo Ferrero, ad Andrea Barzagli e a Stephan El Shaarawy il premio “Amico dei bambini”
Amico, dei più piccoli, così come dei più grandi,
Siniša Mihalovic lo è stato al 100%.
Innamorato della sua nipotina Violante, attaccassimo al piccolo Mirko, a Nikolina, agli orfani che ha mantenuto, non ha mancato di salutare con una bella sorpresa il suo carissimo amico Zeman durante la presentazione del libro di quest’ultimo
L’ultimo saluto al pubblico
Avvolto in un cappotto che aveva le misure del suo fisico da gladiatore, riempito troppo poco perché divenuto esilissimo, ma reso “figo come solo lui poteva essere” dall’inedito pizzetto. Con gli stessi occhi di un bambino che ha visto troppo dolore, mantenendo comunque il sorriso dietro gli occhiali scuri e la capacità di scovare l’amore dietro ogni cosa.
Siamo sicuri che Siniša non mancherà mai di vegliare sui suoi bambini e sulla famiglia. Questa consapevolezza, questo ricordo, il suo sorriso dietro lo sguardo di ferro, le lacrime di chi lo ha amato sono il suo lascito più grande.
Di quelli che il nuovo anno prossimo ad arrivare, forse a passo felpato, forse travolgendoci, conserverà e ricorderà.
Con gli occhi di chi rimane, emozionato, spaesato dalla sua assenza che si fa presenza per la grandezza della persona che è stato, e per la fortuna di averlo anche solo virtualmente incontrato.
Rimangono il dolore e la tristezza, ma anche il ricordo di una roccia.
La storia di Siniša è una storia sul percorso verso l’appagamento dello spirito, per dare un senso all’esistenza, alla vita.
Grazie bambini, Mirko, Nikolina cresciuta, piccoli tutti: per smuovere le persone migliori a ricordarci il significato di essere guerrieri umani.
Tremendamente, miracolosamente umani.
Fragili ed eterni, come Siniša e l’anno che porta via con sé.
Veronica Fino