“Buongiorno Avvocato, le scrivo in quanto l’altra settimana, aprendo la mia pagina Facebook mi sono accorto che una persona “amica sul social” e chiaramente non più nella vita reale, ha scritto quanto riporto: “Sei solo un frocio di m….”. Insomma, uno dei tanti insulti omofobi che oggigiorno, purtroppo, vengono dispensati come estrema leggerezza. Fortunatamente ho salvato la videata, perché poco dopo, il messaggio è stato cancellato. Secondo lei vale la pena sporgere denuncia?”
Cosa dice la legge in merito agli insulti omofobi sulle piattaforme virtuali
Stupisce, e non poco, che nel terzo millennio, si utilizzino ancora epiteti del genere. Ad ogni modo, in giurisprudenza, molti sono ancora i casi che pervengono alla Corte di Legittimità aventi ad oggetto vicende del genere. Da ciò la triste riprova di come, ancora oggi, gli attacchi omofobi godano di attualità.
Di recente, la Corte di Cassazione, Sez. V penale, con la propria pronuncia n. 19359/2021, è tornata ad affermare come la parola “frocio” era e rimane un insulto.
La vicenda
Su Facebook, l’imputato transessuale che vive ed esercita la “propria attività” a Milano aveva sostenuto che un politico locale era un omosessuale e di aver intrattenuto con lui “un rapporto sessuale”. Sempre su Fb lo aveva chiamato “frocio” e “schifoso”. Il destinatario si era risentito ed era passato alle vie legali. Senza successo, dopo le condanne di primo e secondo grado, l’imputato ha fatto ricorso in Cassazione. Egli ha sostenuto che le parole usate “avrebbero ormai perso, per l’evoluzione della coscienza sociale, il carattere dispregiativo”.
La Cassazione ha confermato la condanna, disattendendo così la linea difensiva che aveva tentato di eliderne il significato dispregiativo.
La sentenza
La Corte di Legittimità riferisce che “le suddette espressioni – costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell’identità personale, veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate, in ogni dove, dall’attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono, per recare offesa alla persona, proprio ai termini utilizzati dall’imputato”. Così il ricorso della difesa dell’imputato è stato dichiarato inammissibile con condanna anche a versare tremila euro alla Cassa delle ammende.
L’orientamento passato
L’orientamento tradizionale della giurisprudenza era quello di ritenere che dare dell’omosessuale a qualcuno non potesse essere considerato reato. Questo perché, se è vero che l’essere gay è una condizione normale, non suscettibile di discriminazioni, è anche vero che tale qualità non può essere considerata offensiva al pari dell’essere eterosessuale (cfr. Cass. n. 50659/2016).
Quindi, stando all’orientamento riportato, dire semplicemente di una persona che è un “gay”, un omosessuale, non può essere considerato reato. Tale parola, nel linguaggio comune, ha perso qualsiasi carattere lesivo, sicché il suo intrinseco significato non può costituire di per sé un insulto.
La Cassazione ha infatti specificato più volte che, per valutare l’eventuale sussistenza del reato di diffamazione, è sempre necessario valutare il contesto in cui è stato utilizzato il termine in questione. Dunque, le finalità del soggetto agente.
Ecco che allora si comprendono le ragioni che hanno indotto di recente la Corte di Cassazione a confermare la condanna dell’imputato.
Le proposte legislative: la legge “Zan” NON approvata al Senato
Il disegno di legge, tristemente non approvato al Senato, porta il nome del suo relatore alla Camera e si poneva l’obiettivo di contrastare l’omofobia e la transfobia. Tentando di semplificarne i contenuti, essa può essere riassunta nei seguenti termini: l’omofobia nel codice penale dovrebbe venire equiparata al razzismo e all’odio su base religiosa.
Se fosse stata approvata, la legge avrebbe inserito all’articolo 604 bis del codice penale, che già punisce tramite la reclusione fino a un anno e sei mesi, le discriminazioni a sfondo razziale, etnico o religioso, pure quelle basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.
Il progetto prevedeva fino a 4 anni di reclusione per chi istiga a commettere discriminazioni o violenze di stampo omofobo. Così come oggi è previsto per quelle di stampo razzista, punendo pure chi organizza o partecipa ad associazioni che, per i medesimi motivi, istigano alla discriminazione e alla violenza ed introduce una circostanza aggravante per la discriminazione omofoba.
L’Avvocato consiglia
Gli insulti da Lei ricevuti sulla Sua bacheca Facebook integrano verosimilmente la fattispecie delittuosa di diffamazione aggravata. Personalmente li considero inaccettabili e vergognosi in una società civile: non posso quindi che consigliarle di sporgere denuncia nei confronti di questo “individuo”. Ritengo infatti che solo in questo modo si possa mandare un segnale forte alle future generazioni. E, perché no, tentare di insegnare anche l’educazione a chi non ha avuto la fortuna di avere dei genitori che siano riusciti nel compito.