Mamba, Los Angeles, anni Ottanta. La scultrice Eva (Trudie Styler) ha chiuso una relazione turbolenta e malsana con il suo ex Gene (Gregg Henry), un esperto di informatica. L’uomo, però, non accetta la fine del rapporto. Perciò, dapprima inizia a spiarla e poi, introdotto nell’abitazione della donna con la scusa di un chiarimento e/o riavvicinamento, nasconde, non visto, un orribile serpente della specie mamba (Dendroaspis polylepis) al fine di ucciderla.
Eva vive in una specie di bunker con tre tartarughe di terra (Tom, Jerry e Minnie) a farle compagnia e, una volta chiusa in casa dall’ex, le è praticamente impossibile uscire. Riuscirà a trovare un modo per scappare da quella trappola mortale prima che l’astuto e velenosissimo rettile riesca a raggiungerla?
Mamba – Cult italiano dimenticato nel tempo
Il regista e produttore italiano Mario Orfini (Porci con le ali, 1977) si avvale della giornalista e sceneggiatrice piemontese Lidia Ravera per dirigere un thriller mozzafiato dimenticato nel tempo.
Mamba non è il classico film thriller con l’omicida con i guanti e con il coltello pronto a mietere vittime innocenti. Mamba è il serpente primordiale del Paradiso Terrestre che con le sue spire vuole avvolgere la protagonista con un morso letale. Controllato grazie all’uso di un microchip impiantato e dopato tanto abbastanza da accrescere la sua violenza, l’animale viene furtivamente introdotto nella casa-prigione di Eva che per buona parte del film non si accorge della sua presenza.
Trudie Styler, moglie del cantante e attore Sting, si rivela una protagonista d’acciaio. Sebbene all’inizio la pellicola di Orfini faccia un po’ fatica a decollare, è proprio grazie alla credibile interpretazione della Styler che la messinscena diviene reale e perfettamente diabolica.
Il film di Orfini fu girato tra Los Angeles, gli Studi di Cinecittà e il deserto del Mojave anche se le riprese principali sembrano svolgersi tutte nella bizzarra e peculiare abitazione della protagonista. Una casa-bunker come già detto dalla quale la donna non potrà più uscire.
Interessante è anche il rapporto d’amore malato tra i due personaggi principali che si attraggono e si respingono costantemente fino alla decisione finale, folle dell’uomo, di vendicarsi dell’abbandono arrivando a livelli estremi e insensati.
Poco apprezzato all’estero ma valutato positivamente dalla critica italiana dell’epoca, Mamba è un piccolo gioiello in uno stagno di tante mediocrità di fine anni Ottanta che merita di essere rivisto, ricordato e apprezzato.
Un thriller da rivalutare
Con le musiche agghiaccianti del multi-premiato agli Oscar, Giorgio Moroder, il film di Mario Orfini vi darà del filo da torcere alternando il punto di vista della Styler con quello del serpentello ripreso sempre dal basso. Gli occhi dello spettatore diventeranno, quindi, quelli del serpente e dell’ex compagno della protagonista che spia le sue mosse attraverso un tipico schermo di quegli anni facendolo sembrare un grande videogame a tempo.
Distribuito all’estero con il titolo altrettanto bizzarro Fair Game, non deluderà le aspettative degli appassionati di questo genere e delle nuove generazioni che apprezzeranno lo stile tagliente del film.
Buona visione e attenti al Mamba!