Addio Angelo, cagnolino simbolo dei roghi sardi.
Ciao, mi chiamo Angelo il cane da pastore
…e questa è la mia storia
Ero un cane da pastore bianco e morbidissimo.
Di quelli che in Sardegna, la mia amata terra, fanno ancora il loro lavoro, guardando e controllando il gregge al pascolo. Abitavo a Tresnuraghes, un paesino nei pressi di Oristano.
Io e il mio gruppo ovino eravamo sul Montiferru, in un’accaldata e strana giornata dove il cielo si faceva sempre più rosso.
Qualche giorno fa, di colpo, mentre ero vigile come sempre, ho visto fumo, e poi, improvvisamente, quelle fiamme, vivide, caldissime.
Faticavo a capire cosa accadesse, come uscirne.
Tutto d’un tratto, un dolore immane, un calore su tutto il corpo che sentivo dilaniarsi via via. Ma non potevo abbandonare le mie amiche pecorelle. Sono salito su un muretto di pietra, e ho aspettato con loro, sperando, pregando che qualcuno ci soccorresse e che quel fuoco infernale sparisse, o, perlomeno, si allontanasse da noi.
Alcune delle mie amiche sono rimaste lì, ricoperte di cenere, immobili. Bruciate, fra i loro versi disperati. I miei occhi erano altrettanto devastati di fronte a quelle immagini, ancor più di quel calvario (è giusto, dite così?) che stavo –stavamo– vivendo.
Le mie zampine, il mio pancino, il mio musetto, stavano perdendo strati di pelle, ma io restavo lì, con le mie pecore. Continuando a fare che mi avevano insegnato a fare. Guidare e fare da guardia a tutte loro.
Poi, ho pianto, ululato fino quasi a svenire quando degli umani sono arrivati a prendere me e le mie poche amiche ancora non stese e inermi. Ho cercato di scodinzolare, ma le forze non mi accompagnavano. Ricordo solo un vero e proprio Angelo, di nome e di fatto, e qualche volto gentile che mi diceva di resistere, e io li ho ascoltati.
Siete esseri umani, volete bene a noi quattrozampe. E, come cane, io vi ascolto.
Anche se a volte stare sotto il sole per ore e ore a guardia del pascolo non è semplice… avessimo almeno acqua fresca, e qualcuno con noi, a coccolarci. Chiediamo troppo?
Ma lo capisco, come tanti miei “colleghi”, voi siete umani, voi siete impegnati. A far cosa, a volte, noi animali non lo capiamo, ma lo rispettiamo.
L’arrivo dal veterinario
Ad un certo punto, dopo essere stato soccorso, ricordo solo che sono arrivato davanti a un dottore per animali (credo si chiami veterinario) in una clinica dove dicevano, fra chi urlava da fuori, e chi parlava ai microfoni (il nostro udito canino ci permette di sentire anche se siamo un po’ lontani) si chiamasse “Due Mari“.
Hanno deciso di chiamarmi Angelo, perché ho fatto il bravo, fino alla fine, sono stato con le mie pecore, fino alla fine. E poi, come ho accennato sopra, chi mi ha salvato è un volontario che si chiama proprio così, Angelo di Suni. Colui che per primo mi ha definito “eroe” per la sopportazione del dolore e per il coraggio di fronte all’incendio.
O così, sentivo come eco ricorrente, dicevano più e più volte, mentre io mi sentivo sempre più stanco, ma felice di non essere più solo.
Ascoltavo il medico mentre sosteneva che le mie condizioni stessero migliorando: “le ustioni del cane Angelo stanno granuleggiando. Cioè si sono avviati i processi rigenerativi. Questo è un gran buon segno […] Il muso e gli occhi per adesso immaginateveli. Ma anche lì guadagniamo terreno. Per i polpastrelli ci penserà la Divina Provvidenza, lui se la merita”.
Malauguratamente, avevo uno shock tossico da necrosi da ustione dappertutto, e i cuscinetti delle mie zampine erano esplosi. Sul mio corpicino, le bruciature erano profonde: addome, genitali e gran parte della cute erano gravemente lese.
In un primo momento, in verità, sembrava andasse meglio. Avevo imparato ad alimentarmi da solo, ma mi somministravano costantemente antidolorifici, antibiotici e unguenti. Purtroppo, ogni medicazione, ogni quattro maledette ore, sembrava una tortura.
Però io, come ogni buon cane, che voi umani non ci fareste mai del male. O, almeno, tutti noi animali ce lo auguriamo sempre.
I miei reni, nel frattempo, si sono rivelati compromessi.
Eppure, i veterinari, che mi guardavano con le lacrime sul volto, non volevano lasciarmi andare, perché la loro speranza era che io sopravvivessi.
Ancora.
Ero stato àncora per il mio proprietario, per le mie amiche che belavano, allegre fino a poco prima di quel fumo incessante.
Ma di resistere nuovamente, senza i miei ovini a farmi compagnia, con il dolore dentro, con lo sguardo vuoto, la paura che si annida in ogni lembo di pelle e cuore, triste e sconvolto, non me la sentivo più.
“Migliora, dai che ce la facciamo“, ripetevano intorno al mio lettino.
Io ci ho provato, a rendervi felici, ad aggrapparmi con quelle mie poche forze rimaste alla vita.
Credetemi. Ci ho provato. Ancora, e ancora!
Una situazione disperata
Tuttavia, nonostante le parole di conforto, io non riuscivo a muovermi; so solo di essere stato attaccato ad una macchina che mi aiutava a respirare, acclimatato e ben coccolato.
Quando sembravo essermi stabilizzato, mi raccontavano di come fossi diventato “il cane simbolo” degli incendi sardi.
Ricordo vagamente, con tanta amarezza, di quelle tante persone che abbandonavano le loro case, di amici pronti ad aiutare, di tanti altri animali arsi vivi.
Questo, mio malgrado, è stato troppo da sopportare.
Non ce la facevo più.
Cadevo a pezzi, come i lembi della mia pelle.
In seguito, ho sentito che i veterinari, i bravissimi Paolo Briguglio e Monica Pais, con la loro équipe (questa parola me mi è rimasta impressa) mi hanno fatto una carezza con gli occhi ricolmi di tristezza. Un atto che ho percepito, pieno di amorevolezza, affetto e struggimento, come un saluto.
Poco dopo, ho sentito gli occhietti chiudersi beatamente.
“Angelo non soffre più”: queste sono state le parole che ho sentito, lontanissime, ovattate, dietro di me.
Eppure, nonostante la tristezza per non rivedere più i dottori e il mio Angelo, davanti a me, mi attendeva un panorama bellissimo, pieno di alberi, fiumi, mari, legnetti, pappa a non finire, e tanti altri animali.
Per arrivarci, ho attraversato un ponte che aveva i colori dell’arcobaleno.
Ciao Angelo, piccolo grande eroe
Ora, Quassù, sono finalmente felice, ve lo posso garantire.
Con me ci sono tanti animali che sono rimasti vittime delle fiamme, di padroni che li hanno picchiati a sangue, investiti dopo essere stati abbandonati, spentisi nella solitudine come conseguenza del freddo e del troppo caldo.
Anche ora, so che mi salutate chiamandomi “eroe”.
Ma io ho fatto solo il mio lavoro, e ogni cane, anzi, ogni animale che vive letteralmente per voi dovrebbe essere per voi umani un simbolo di dedizione, coscienza, virtù, rispetto, appartenenza.
E, sopra ogni altra cosa, di amore incondizionato.
D’altronde, gli eroi sono questi: quelli che combattono fino a quando è necessario, e possono sentirsi liberi di riposare quando una manina stringe la loro (in questo caso, la loro zampina), e li fa sentire unici, ricordati, e amati come hanno meritato.
Cari umani, noi non ce l’avremo mai con voi, non siamo capaci di odiarvi, ma state distruggendo troppo di questo splendido mondo. Solo nella mia Sardegna oltre 20mila ettari di territorio sono andati perduti. Chissà quante vite spezzate, quanti eroi non raccontati.
Perciò, mi chiedo, anzi, Vi chiedo: non è ora che anche voi vi prendiate per mano, con coscienza, e facciate gli eroi che, (noi pelosetti lo sappiamo), sapete essere? Vi chiediamo, in coro, con le zampine unite come in preghiera, di non dare più fuoco alle terre, rispettate il meraviglioso ambiente che vi sta intorno; vi preghiamo di non sfruttare, e in particolare non abbandonare chi darebbe –o ha dato, come me– la vita per voi. Fate tesoro del tempo insieme, perché, lo abbiamo capito, soprattutto nell’era trascorsa con il Covid-19, si diventa più forti solo con qualcuno accanto.
Dal canto mio, io ringrazio chi mi ha soccorso, mi ha curato, e chi ha provato a tenermi con sé, e mi scuso per essermene andato: purtroppo, avevo visto troppo orrore. Ma, per mia fortuna, anche il lato migliore, quello che chiamiamo, orgogliosamente, amore.
Per sempre nei vostri cuori, come voi nel mio, Angelo
A cura di Veronica Fino