#donneinfesta: protagoniste della storia quotidiana
La vera rivoluzione è quella delle #donneinfesta
Da New York alla Russia, resistenti ucraine, dissidenti russe, fino alle giovanissime protestanti in Iran: la forza delle donne
L’Otto Marzo, è risaputo, si celebra la Festa della Donna. O, meglio, la giornata internazionale delle donne. E noi raccontiamo una storia, delle storie diverse, quelle in qualità di #donneinfesta
Quest’oggi, in un freddo giorno di un Avvento ancora cupo, in cui le luci si spengono e le speranze di pace si affievoliscono con la stessa intensità, decidiamo di lanciare la campagna “#donneinfesta”.
Premessa:
Perché un simile titolo, “donne in festa”, e persino un hashtag #donneinfesta, (-direte voi-), leggendo, per un lungo articolo ricco di personaggi femminili che simboleggiano storie struggenti?
“Cosa c’è da festeggiare?”, potrei chiedere io stessa, da lettrice.
Vedete, #donneinfesta vuole richiamare l’aggettivo latino festus, nella sua accezione di solennità.
Ogni storia qui raccontata narra episodi di cui andare fieri di ogni persona coinvolta, per la forza e la grazia espresse e trasmesse.
Da qui, il pensiero di rendere debito omaggio alle donne. Anzi, alle #donneinfesta poiché andrebbero celebrate in ogni occasione.
#donneinfesta perché è stato inserito nel dizionario di Cambridge la definizione più ampia di “donna”.
Per il suddetto vocabolario, infatti, s’intende una “persona adulta che vive e si identifica come femmina, anche se alla nascita potrebbe esserle stato attribuito un sesso diverso”
(Lo stesso, naturalmente, vale per il termine uomo -n.d.r.-)
La coraggiosa resilienza quotidiana femminile
Quella dell’otto marzo è una tradizione, un rituale quasi, che nasce da lontano, da svariati episodi di connotazione sfortunatamente triste.
La storia di una celebrazione celebrazione che parte da lontano: l’incendio a New York
La storia più nota è quella dell’incendio avvenuto nel 1908 in una fabbrica tessile di New York, proprio l’8 marzo. A causa della morte di un centinaio di donne, si susseguirono scioperi a oltranza per la sicurezza e le condizioni di lavoro delle operaie.
L’anno seguente il partito socialista americano propose di commemorare l’evento con una celebrazione delle lotte delle donne, per l’appunto.
La certezza dell’evento, tuttavia, è tuttora discussa: l’incendio citato pare annotato, storicamente, come accaduto tre anni dopo.
La ricerca di diritti per le donne
Nonostante ciò, nel 1910 la questione fu sottoposta all’attenzione del VIII Congresso dell’Internazionale socialista di Copenaghen, e perpetrata in vari Paesi Europei e americani alla ricerca dei diritti e del suffragio femminile.
Per un lungo periodo ogni Stato scelse la sua data e modalità di adesione e celebrazione
Le ribelli russe: riflesso odierno di un vecchio retaggio
Un parallelo è doveroso fra le straordinarie donne russe che hanno manifestato fin dall’invasione di Putin in maniera pacifica nelle piazze per osteggiare la guerra contro il popolo ucraino, chiedendone fine immediata.
Tutte queste signore, come gli altri, giovani e meno giovani, sono state arrestate.
Alcune, addirittura insieme ai propri figli per aver portato fiori per le tante vittime di un conflitto voluto solo dal Governo e non dal popolo.
Anche nel 1917 furono le donne a scendere in piazza per prime.
Fra 8 e 11 marzo (corrispondenti a 23-26 febbraio giuliano) i tumulti dell’Impero sfociarono con una rivoluzione che depose gli Zar e sterminò la famiglia Romanov.
La vecchia Pietrogrado, divenuta San Pietroburgo, fu invasa da una marea femminile seguita da rivoltosi armati.
Dal giugno del 1921 si unificò il ricordo delle eroine russe durante la seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca.
La Festa della Donna in Italia: il simbolo della mimosa
Nel marzo 1922 il Partito Comunista Italiano, nato da poco, indisse la prima giornata della donna in Italia; una celebrità bandita e confinata alla clandestinità del buio del Fascismo.
Dopo la Liberazione nazifascista, già dal 1944 nacque l’UDI, Unione delle donne italiane, che contribuì con i suoi scioperi a far crollare il regime nel nostro Paese.
Secondo le parole dirette di Lina Fibbi il simbolo della mimosa si deve a Longo (mentre Teresa Mattei disse che insistettero per evitare l’uso di violette come in Francia).
L’8 marzo 1945 i tedeschi erano inferociti perché erano già in ritirata.
“[…]era la Giornata internazionale della donna.
Allora chiedemmo a Longo se avesse qualche idea e lui disse: “mandiamo le donne sulle tombe dei partigiani caduti e facciamo in modo che si possano riconoscere”. Inventammo così il simbolo dell’8 marzo: la mimosa.
E fu Longo a inventare la mimosa! La scelse perché è un fiore che si trova facilmente!
[…]Quel giorno, quell’8 marzo 1945, al Cimitero Monumentale di Milano c’erano moltissime donne, tutte con la mimosa, e i tedeschi erano impazziti perché non potevano dire niente. Fu un episodio formidabile”.
Aggiunse la Mattei:
“Mi ricordava a lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente. Ancora oggi mi commuovo quando vedo nel giorno della festa della donna tutte le ragazze con un mazzolino di mimosa e penso che tutto il nostro impegno non è stato vano
Il merito della scelta di donare un fiore, pur se di molteplice attribuzione va alla Onorevole Giuliana Nenni, esiliata in Francia. Lì, spiego, si distribuivano i mughetti in occasione del primo maggio.”
Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale
Nonostante i dissapori e le difficoltà, la decisione di rendere una celebrazione (e non esattamente una festa) dei diritti delle Donne e per la pace internazionale si ottenne nel dicembre del 1977 grazie a una decisione dell’ONU.
Si scelse quindi, universalmente, la data che oggi tutti conosciamo. #donneinfesta dunque, perché si videro riconosciuti diritti fondamentali di genere.
In definitiva, si istituì una giornata di riflessione a ricordo delle conquiste ottenute fino ad allora e nel tempo a seguire.
Malauguratamente, è ancora troppo attuale la ricerca di parità di genere e la delicatissima questione della violenza, della quale troppe donne sono ancora drammaticamente vittime.
Tanta strada percorsa, eppure tantissima rimane da fare
Se, pertanto, è vero che molto è stato fatto, è altresì lapalissiano che le donne lottino tuttora ogni giorno.
Sono eroine silenziose, ogni giorno. #donneinfesta in un limbo quasi paradossale: in queste lotte, nei loro pianti, riescono sempre a trovare la forza di un sorriso da destinare a qualcuno.
E in questo mondo tumultuoso, più veloce e incerto che mai, è doveroso tornare a pensare e ripensare al dolore e al valore delle tante bambine, adolescenti, giovani, adulte, nonne che si premurano per noi.
Senza dimenticare, forse perché è impossibile dimenticare, il valore di tante meravigliose creature che si battono con i denti stretti, con lacrime a sfiorare i denti, e mani sempre pronte a una carezza.
Quelle stesse mani capaci di suonare nell’eco silenzioso del tetto dell’Ospedale di Cremona per dare speranza durante la pandemia, in un lontano (quanto?) aprile 2020.
Impressionante l’esecuzione dell’elegantissima Lena Yokoyama, violinista del Museo del Violino. Un incanto surreale ascoltarla suonare le note di Morricone e l‘Inno di Mameli.
Mani che toccano le nostre corde umane, come quelle di Vera Lytovchenko, musicista Ucraina che nel rifugio impugnò un violino, come a ricordare la potenza della musica, capace di commuovere.
O della piccola Amelia, la bimba che aiutò con la sua sola presenza gli altri ospiti rifugiati in uno dei tanti parcheggi sotterranei di Kiev, che, ammutolendo e smuovendo le lacrime di tutti, (in)cantò i i presenti con la versione ucraina di “Let It Go”.
Non a caso, è l’inno di forza e coraggio, presa di coscienza di sé di Elsa, protagonista di Frozen.
Sono #donneinfesta perché rincuorano gli animi più disperati, #donneinfesta come icone del “nonostante tutto”.
La musica, in qualche modo, appartiene al genere femminile.
Che è forse più capace di rabbrividire per un sopracciglio venuto male, ma di dare la vita.
Con sacrificio, caparbietà, amore e pazienza.
Gli stessi valori delle donne
Ucraine, e non solo.
Sono valori universali: quelli di madri che raccolgono i loro bambini, i più indifesi, camminano con loro, cercando di proteggerli.
Le stesse che li mettono in fuga e poi impugnano fucili.
Sono civili costrette alla guerra da una trincea contemporanea. Elogiate, nella loro forza e resilienza, anche dal nostro Presidente Mattarella.
Le loro mani che si struggono, che avvolgono i figli morenti, aiutano gli altri, si prodigano per tenersi stretti i loro animali. Mani che pregano ancora.
Alle loro si uniscono mani e cuori di chi aiuta, per quanto possibile. Da lontano e da vicino.
Solidarietà, che fa rima con libertà.
Per loro, per i loro cari, e per il mondo che vorrebbero.
Per quella stessa libertà, che, prima ancora che per la donna in quanto tale, meriterebbero.
La stessa che dovrebbe esserci le donne succubi di uomini e sistemi violenti, regimi vittime di una cultura ancora piena di bieca assenza di rispetto per l’essere vivente.
Nel ricordo di Mahsa Amini: donne senza tregua
Nella dinamica di una pace fra Russia e Ucraina che ci appare ancora troppo lontana, non posso evitare di menzionare la situazione terribile che sta contraddistinguendo le cronache del mondo che arrivano dall’Iran.
La storia dell’uccisione della ventenne curda di origine iraniana Mahsa Amini, morta dopo un pestaggio -mai ammesso- da parte della polizia morale del regime iraniano lo scorso ottobre, insieme alle immagini sul letto d’ospedale trasmesse dalla madre disperata, hanno fatto il giro del mondo.
Mahsa era una giovanissima curda in vacanza a Teheran con la famiglia. Lì, dove avrebbe dovuto vivere un momento di festa e ricongiungimento, felicità con i famigliari, ha trovato la fine peggiore.
Additata come malata, pertanto morta come conseguenza naturale.
Ma le fotografie, la sensibilità che colpisce giocoforza come un pugno nello stomaco, guardando il suo volto solare, il sorriso leonardesco spazzato via, hanno toccato la rete, e la nostra realtà.
Hanno indignato il mondo.
Forse, lo hanno un po’ cambiato.
Ci hanno un po’ cambiato.
Dopo la sua morte, le donne hanno alzato la voce, mostrato il volto e tagliato i capelli in segno di protesta. Non solo donne iraniane, ma di tutto il mondo.
#donneinfesta, seppur tristemente macabra, perché si sono mobilitati moltissimi uomini, comuni e vip, a ricordo della giovane, rea di aver indossato malamente il velo.
Non si discute, qui, il culto religioso, ma -per così dire- l’affronto culturale del valore della vita che si annienta di fronte a dei capelli fuori posto e un hijab indossato male, a detta di due poliziotti. Uomini.
Un dolore troppo grande da superare e lasciar correre, tanto da scatenare migliaia di giovani nelle piazze.
Manifestanti contro un regime troppo opprimente, che ha cercato di bloccare la condivisione di immagini, che ha messo al bando le comunicazioni.
Affinché il mondo non sapesse.
Ma i video delle donne libere e padrone del proprio infelice destino, insieme a numerosi uomini sopraggiunti poi, hanno fatto comunque il giro di tv, webtv, giornali, reti.
Oltre la censura.
Il regime continua reprimendo le proteste nel sangue, senza ascoltare le voci del popolo, che chiede a gran voce maggiori diritti e libertà.
Fra i primissimi nomi dei manifestanti uccisi, riecheggiano per la maggior parte quelli femminili.
- Nika Shakarami, sedici anni, scomparsa dopo uno dei tanti cortei tenuti a Teheran e riconsegnata cadavere alla famiglia una settimana dopo.
- Sarina Esmailzadeh, anch’essa sedicenne data per scomparsa durante una manifestazione, e invece morta perché selvaggiamente colpita.
Ciò che mette più vergogna è che alle famiglie delle vittime siano state trovate scuse per il decesso fantasiose: Mahsa per tumore, Nika per un incidente, Sarina per suicidio.
Ragazzine, bambini, donne, madri, figli, nipoti, arrestati e in numero non definito torturati e uccisi a sangue freddo e a tradimento dalla polizia morale o religiosa.
Iran: eppur forse qualcosa si muove
Pare qualcosa si stia muovendo in Iran: fra 3 e 4 dicembre è giunta la nota non ufficiale sulla revisione dell’obbligo del velo.
Si tratta del primo concreto segnale di apertura dopo mesi di proteste represse con la violenza.
Tra le altre cose, le forze di sicurezza iraniane sono arrivate a usare le ambulanze per infiltrarsi nelle proteste e arrestare i manifestanti.
Una volta prelevati, bambini compresi, venivano poi picchiarti all’interno dei veicoli o portati via.
Una pratica che violerebbe le norme internazionali sulla fornitura imparziale di cure mediche e tutta la deontologia sui diritti umani.
Solo in questi giorni si stanno eseguendo processi farsa con condanne a morte insensate, impiccagioni.
Più di 500 persone sono morte durante la repressione, fra cui almeno 59 minorenni. Più di 18000 gli arrestati. ma si pensa si tratti addirittura di sottostime.
A rischio ce ne sono ancora più di 400.
Moltissime sono giovani donne, che ispirano la voglia di combattere e parteggiare per loro, parlare di loro.
Donne in piazza, e #donneinfesta per il coraggio dimostrato, noncuranti del regime tiranno e oppressore.
Purtroppo, il reato di Moharebeh (guerra contro Dio) è punito con la pena di morte.
È di queste ultime ore la terribile notizia della morte della quattordicenne Masooumeh. La ragazzina era stata arrestata e prelevata con forza dalla polizia morale a scuola, dove l’avevano vista non indossare il velo per protesta.
Un dolore doppio, poiché oltre all’assurda morte per pestaggio, registrata falsamente, in un ospedale di periferia di Teheran, si aggiunge la violenza carnale dei carcerieri. La denuncia arriva direttamente dalla Ong Center for Human Rights in Iran.
Come se non ci fosse abbastanza dolore, la madre aveva ripromesso di mettere il mondo a conoscenza del fatto gravissimo, e di lei si è persa ogni traccia.
Con la stessa condanna delle giovanissime, anche Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard, poco più che ventenni, sono stati uccisi barbaramente.
Il primo ha espresso con estremo coraggio il dissenso contro il regime teocratico degli Ayatollah fino alla fine.
“Non pregate, non leggete il Corano, ma suonate musica allegra”, ha pronunciato, prima dell’esecuzione, già con gli occhi bendati dai suoi boia.
Un riferimento forte, coraggioso, spudorato persino, per le donne, e per quelle che grazie anche al suo sacrificio saranno auspicabilmente #donneinfesta del futuro.
Forse queste morti porteranno al rovesciamento di un regime che non ha più senso di esistere, dove le donne devono rinunciare alla carriera, al mostrarsi in pubblico senza dettami morali preconcettuali.
(Fa ancora più effetto ripensare a queste generazioni in lotta paragonandole alle donne iraniane fino al 1979, anno della rivoluzione islamica avvenuta a seguito dell’ascesa al potere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, che impose il velo alla popolazione femminile intera. n.d.r.)
Di nuovo, il Presidente Mattarella ha sottolineato l’attenzione massima da destinare al dramma iraniano: “Quanto sta avvenendo in queste settimane in Iran supera ogni limite e non può, in alcun modo, essere accantonato”.
Allo stesso modo queste vittime saranno da ricordare, nome per nome, per quanto possibile, come martiri della libertà.
Libertà che, abbiamo visto in un territorio molto più occidentale come quello Ucraino, è estremamente labile e da preservare ad ogni costo.
La libertà e i diritti che le donne reclamano, e che sono destinate a conquistare, sono gradini di quella scala immaginaria che porta verso la migliore condizione possibile a cui uomini e donne aspirano dall’alba dei tempi, e che forse vivranno in futuro. Questa è l’ambizione che deve motivarci a combattere. La solidarietà è un’arma, e la mia va a tutti i manifestanti iraniani.
Dice il giovane giornalista di okNews Paolo Maurizio Insolia.
Tuttavia, possiamo azzardare per davvero #donneinfesta (e non solo): nonostante gli abusi e le percosse subite, la giovanissima Sonia Sharifi, detenuta in carcere, ha ricevuto la grazia da morte certa.
Una speranza per il prossimo futuro.
#donneinfesta ogni giorno, perché ogni donna, piccola o grande che sia, ha contribuito a cambiare il mondo.
Il nostro Signor Sergio nazionale non manca di ricordare quello delle popolazioni in guerra, al freddo, in balia di decisioni inumane, insieme al dolore dei migranti e dei tanti, troppi poveri in aumento anche nel nostro Paese.
Ma credendo fortemente che un atto di gentilezza ne attrae un altro, come dicevano le nonne, è ora di chiudere gli ultimi pacchetti in dono da portare ai senza fissa dimora di Milano, e fare un piccolo passo per rendere meno torbide le giornate, respirando davvero la magia dell’attesa e il significato del donare a Natale.
E come sempre, con riferimento alle nonne, non possiamo dimenticare ciò che questi esseri umani comunissimi, eppure così fuori dal comune, hanno fatto per la storia.
Per ringraziare virtualmente queste #donneinfesta, le celebriamo –tutte– così:
Odi alle Wonder Women che risiedono in noi
A tutte loro, alle donne che hanno toccato le nostre vite, o almeno la mia, vanno queste odi.
Manifesti che, ci auguriamo, possano permettere maggiore prese di coscienza, posizione, empatia e liberazione dell’anima.
Con un velo di spazio all’auspicio in più.
1-“Ho conosciuto il dolore”
Ho conosciuto il dolore
sentito dal fremito al fragore,
donando più di quanto abbia ricevuto.
Apprezzando il silenzio
ho gridato e poi pianto
Mi sono messa in un angolo
ho sperato di librarmi in volo
Sono stata madre,
figlia,
nonna,
vedova.
Me ne sono andata prima della persona che ho amato di più.
Mi sono asciugata le lacrime sullo stesso fazzoletto e ancor più su quella manica di un vestito consunto nello stesso punto.
Mi sono odiata,
non con leggerezza mi sono apprezzata.
Tuttavia, mi sono fortificata.
Ho faticato, ho scalpitato
Ho capito che quel poco che ho costruito è quel tanto di straordinario che possiedo.
E che quel punto di imperfetto è il mio mondo.
Immenso.
Quello di una donna, quella capace di dire: nonostante tutto, ho conosciuto l’amore.
Un elogio a tutte le donne, che sanno, che si rivelano, che si spezzano e si riassestano.
Quelle che hanno il cuore più grande che si possa cogliere.
Fateci caso, se le vere eroine, giorno per giorno, quelle mani che non vi abbandonano, pur lontano che siano, sono le loro. Sempre.
Ogni giorno un po’.
2- “Sorridi donna2
Alda Merini scrisse :
«Sorridi donna, sorridi sempre alla vita
Anche se lei non ti sorride
Sorridi agli amori finiti, sorridi ai tuoi dolori, sorridi comunque. Il tuo sorriso sarà luce per il tuo cammino, faro per naviganti sperduti. Il tuo sorriso sarà: un bacio di mamma, un battito d’ali, un raggio di sole per tutti.»
Il pensiero che si fa strada: una dedica al caos femminile nella sua bellissima unicità: alle #donneinfesta
Encomio (non panegirico! -n.d.r.), alle #donneinfesta:
- forti, fragili, intelligenti, sensibili, combattenti, resilienti;
- donne complessate e donne sicure;
- Malate e alle donne malate d’amore, così come a quelle che si alzano per preparare la colazione per tutti: quelle che poi, la colazione la saltano;
- quelle eternamente in ritardo e quelle assurdamente in anticipo, che ti si addormentano sulla spalla e quando si svegliano rimangono lì, insonni, incredule, a osservarti. A loro, timore e stupore la fanno da padrone;
- fanciulle che ballano senza musica, al ritmo del loro spirito;
- coloro che cantano da sole, con le loro cuffiette, noncuranti della gente, le medesime che poi ballano in auto sulle note della stessa canzone. Son lì, vaghe e felici mentre ripensano a quanto sia bello contrarsi per le risate di quelle favolose serate;
- che hanno il cuor che ancora duole, «gli occhi che brillano», parlando di qualcuno, o delle quali «gli occhi si riempiono di cupo bagliore». Con un timido magone nel petto, riparlando di quel qualcuno, poi cambiano argomento col far del lazzo;
- son le stesse che animano una stanza con la loro sola presenza, illuminando tutt’attorno, ma poi, in silenzio, si rabbuiano dentro.
- ragazze d’ogni età, che amano e lasciano andare, augurando buona fortuna.
- loro no, non ascoltano la parte meno virtuosa: vorrebbero sporcarsi la bocca con parole tanto inutili, quanto discutibili.
- quelle che spettano l’inaspettabile e si vietano l’auspicabile;
- le irrazionali, quelle troppo controllate, e le inflessibili che sorridono davanti a un messaggio; son, quelle, le medesime che con un messaggio possono ti far piangere della tua piccolezza. A loro, contrappasso naturale, si unisce chi piange per un nonnulla e ride con meno
- sognatrici di grandi gesta in una vita fatta di piccoli gesti;
- appassionate di tutto e stanche di niente, che rischiano di perdersi negli istanti del presente;
- fortunate, sempre innamorate, che ti spronano a far del bene, e del bene riempiono il mondo «perché i sentimenti non si sprecano mai, ti modulano dall’interno a scegliere meglio la prossima volta». V’è fra loro chi crede nel quotidiano che diventa un “per sempre”, anche se in codesto “per sempre” resta la paura della solitudine. E un “per poco” diventa scusa, dal sapore amaro, per tradire;
- alcune giocano, altre sono troppo serie, si arrabbiano, fanno la pace;
- vedono il mondo a colori e poi vestono di nero. Ma che vedono nello stesso nero una commistione perfetta di sfumature e sensazioni. Sono loro che, indossando un occhiale colorato, regalano un universo nuovo a un bambino;
- regine del multitasking, che si truccano in macchina e in macchina inveiscono se quello davanti non sfreccia al comparire del verde; e che, di qualsiasi cosa si tratti, «si, il tuo è bello, ma il mio di più»;
- che si “raccolgono col cucchiaino” quando sono distrutte, come quelle che il cucchiaino lo nascondono quando sono depresse. Loro, le ferite se le leccano da sole, mentre altre al sole si bruciano, sprecando parole;
- signore capaci di leggerti dentro contro le meno attente che anche dopo anni, loro malgrado, non ti vedono.
- che se non puoi esserci non ti comprendono, ma quando ci sei comunque non ti capiscono;
- amiche e nemiche che ammiri profondamente, che ti lasciano quel segno che resta, dopo anni, motivo di vanto e profondo orgoglio.
- che con con l’orgoglio, al contrario e spesso inconsapevolmente, vivono male: si fanno vezzo e bizzosamente alla fine escono sconfitte. Al contrario, restano vincenti le ripetenti «di ogni dì, perché una lezione, comunque, loro la apprendono»;
- che se non senti eppure percepisci in ogni caso, perché, in fondo, la prima tappa dell’ogni parte del mondo è dentro di te:
- donne infine che si emozionano, creano, che ti emozionano. Quelle che involontariamente, poco si prendono, eppure qualcosa te lo lasciano.
- che non giudicano nessuno, e poi passano la giornata a sistemare quel capello fuori posto o notare di continuo la calza smagliata e all’immagine che deve risultare perfettamente agghindata;
- quelle insonni, che si alzano presto e fanno comunque tardi,
- quelle che restano come sono, senza trucchi e senza filtri, perché una volta tanto è bello riconoscersi;
- che non chiedono altro al di fuori del rispetto, assai migliore di un mazzo di fiori e ogni altro gingillo prediletto;
- che hanno il coraggio di voltare le spalle a quegli uomini che questo principio non lo hanno appreso e sbandierato, quelli che non fanno delle loro donne vere compagne.
Tutte insegnano ogni giorno qualcosa; e alcune imparano, insegnando, ogni giorno qualcosa.
In conclusione, aggiungiamo coloro che hanno iniziato un cambiamento, che hanno subìto vessazioni per questo stesso cambiamento.
Come le donne di cui abbiamo raccontato qualche triste e nondimeno valoroso cenno.
Quelle che lo hanno voluto, che ne hanno goduto, e a quelle che ci hanno creduto, per tutte quelle che verranno e diverranno.
A tutte loro va il nostro grazie, perché quando penso alle mie compagne di strada femminili, capisco che uno dei sinonimi più adatti del termine “donna” dovrebbe essere “meraviglia”!
#donneinfesta perché sono (-siamo- n.d.r.) un po’ tutte comuni Wonder Women.
A loro va un’ode al valore, e per loro è questo inno, colmo di gratitudine, stima, onore e amore.
#donneinfesta perché c’è sempre un qualcosa da salvare, e un periodo festivo da celebrare.
Con i migliori auguri per un Natale finalmente sereno, e un anno che ci porti grazia e motivi per sorridere. Almeno un po’ di più.
Veronica Fino